365 giorni di guerra tra Israele e Palestina: un anno di conflitto senza limiti

365 giorni di guerra tra Israele e Palestina: un anno di conflitto senza limiti

8 Ottobre 2024 Off Di Fabio De Biase

Il conflitto israelo-palestinese, già una delle dispute più lunghe e complesse della storia moderna, ha vissuto negli ultimi 365 giorni un’escalation di violenza che ha lasciato segni profondi. Il conflitto, apparentemente innescato da episodi locali, si è trasformato in una guerra senza limiti, coinvolgendo sempre più attori regionali e internazionali e minacciando di sfociare in una crisi su scala globale. Ma quali sono le radici di questa nuova ondata di violenza? Quali lezioni si possono trarre da un anno di conflitti e quali sono le prospettive di pace in un Medio Oriente sempre più instabile?

Un conflitto dalle radici profonde

Il conflitto israelo-palestinese è uno dei più intricati e radicati del mondo, con le sue origini che risalgono alla prima metà del XX secolo. La tensione è nata con l’insediamento della popolazione ebraica in Palestina e la dichiarazione di Israele come stato indipendente nel 1948, un evento che ha portato alla fuga di centinaia di migliaia di palestinesi e alla prima di una serie di guerre tra Israele e i paesi arabi circostanti. Negli anni, il conflitto ha attraversato varie fasi, caratterizzate da periodi di negoziati di pace alternati a ondate di violenza, intifade e conflitti militari.

Tuttavia, negli ultimi 365 giorni, ciò che sembrava un conflitto a “bassa intensità”, con momenti ciclici di scontri e tregue, è degenerato in una guerra vera e propria, in particolare dopo l’attacco coordinato del gruppo militante Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023. Questo attacco ha segnato l’inizio di un nuovo capitolo di violenza senza precedenti, con ripercussioni non solo in Israele e nei Territori Palestinesi, ma in tutto il Medio Oriente.

Un anno di distruzione e sofferenza

Come per ogni conflitto armato, le vittime principali sono i civili. Negli ultimi dodici mesi, migliaia di vite sono state spezzate, con famiglie intere costrette a fuggire dai bombardamenti e dalle incursioni militari. Le città della Striscia di Gaza, densamente popolate, sono state colpite duramente dai raid aerei israeliani, mentre i razzi lanciati da Hamas hanno colpito numerose città israeliane. La sofferenza dei civili, e in particolare dei bambini, è straziante.

Secondo un rapporto dell’UNICEF, la condizione dei bambini in Palestina è particolarmente drammatica: molti di loro non solo vivono sotto la costante minaccia di violenza, ma hanno anche visto distrutte le loro scuole e case. Più di 1 milione di bambini palestinesi necessitano di assistenza umanitaria, con la scarsità di beni di prima necessità come cibo e acqua che peggiora di giorno in giorno. Dall’altro lato, anche i bambini israeliani vivono con la paura costante dei razzi e degli attentati, il che sta creando una generazione cresciuta nell’ombra della violenza.

I danni materiali sono imponenti, ma le ferite più profonde sono quelle psicologiche. Gli esperti parlano di una “generazione traumatizzata”, da entrambe le parti, che potrebbe portare avanti il conflitto per le future generazioni se non verrà trovata una soluzione diplomatica.

La guerra senza limiti e il ruolo degli attori internazionali

Come ha sottolineato il generale Capitini, intervistato da Inside Over, questa guerra si è evoluta in un conflitto “senza limiti”, un’espressione che riassume perfettamente la natura moderna delle guerre asimmetriche. La differenza tra civili e combattenti è diventata sempre più labile, con Hamas che utilizza tattiche di guerriglia e Israele che risponde con operazioni militari su vasta scala. Ciò ha portato a un’escalation di violenza che sembra non avere confini, né geografici né temporali.

Il coinvolgimento degli attori internazionali è aumentato significativamente negli ultimi 12 mesi. Mentre gli Stati Uniti continuano a sostenere Israele, fornendo assistenza militare e difesa diplomatica nelle sedi internazionali, altre potenze regionali, come l’Iran e la Siria, si sono schierate in modo più deciso a favore delle fazioni palestinesi. Questo ha creato un pericoloso terreno di scontro, dove ogni attacco può innescare una reazione a catena che coinvolge altri attori regionali, trasformando un conflitto locale in una crisi regionale o addirittura globale.

Rischi di un allargamento del conflitto

Le tensioni tra Israele e i paesi limitrofi non sono mai state così alte. L’attacco del 7 ottobre ha scatenato una risposta senza precedenti da parte di Israele, che ha minacciato di colpire anche i paesi che offrono rifugio o sostegno a Hamas. Questa situazione ha acceso le preoccupazioni di un allargamento del conflitto, soprattutto considerando il coinvolgimento di potenze come l’Iran. Le tensioni tra Teheran e Tel Aviv sono da tempo fonte di preoccupazione, ma negli ultimi mesi il rischio di un conflitto diretto è diventato reale.

Inoltre, l’instabilità politica in Libano, Siria e Iraq ha contribuito a creare una polveriera nella regione, pronta a esplodere in qualsiasi momento. Le forze armate israeliane si stanno preparando a potenziali scontri su più fronti, mentre Hezbollah, la milizia libanese sostenuta dall’Iran, continua a minacciare Israele dal nord.

Prospettive di pace: una speranza remota?

A un anno dall’escalation del conflitto, parlare di pace sembra quasi utopistico. I negoziati di pace, quando ci sono, vengono rapidamente vanificati da nuove ondate di violenza. Il tentativo di mediazione di vari attori internazionali, inclusi Stati Uniti ed Egitto, non ha portato a risultati concreti. La situazione è complicata non solo dalla natura intransigente delle parti coinvolte, ma anche dall’assenza di un consenso interno su come gestire il conflitto. La società israeliana è divisa tra chi sostiene una linea dura e chi invoca soluzioni diplomatiche, mentre in Palestina la frammentazione politica tra Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese rende difficile trovare una posizione unitaria.

La lezione che emerge da questo anno di conflitto è che la violenza genera solo altra violenza. Senza una reale volontà di dialogo, il ciclo di rappresaglie e attacchi continuerà indefinitamente. La comunità internazionale ha il compito di rafforzare gli sforzi diplomatici, spingendo entrambe le parti verso un compromesso. Ma affinché ciò accada, devono cessare le violenze sul campo, e questo richiede un impegno congiunto che finora è mancato.

Conclusione

Dopo 365 giorni di guerra tra Israele e Palestina, il bilancio è devastante. Migliaia di vite spezzate, città distrutte e una generazione di bambini cresciuti tra le macerie di un conflitto senza fine. La comunità internazionale non può più permettersi di rimanere a guardare. Ogni giorno che passa, la pace sembra allontanarsi sempre di più, e il rischio di una guerra regionale è più alto che mai. Ma proprio in questo momento critico, è fondamentale ricordare che nessun conflitto è mai senza speranza, e che la strada verso la pace, per quanto impervia, è l’unica via d’uscita da questo circolo vizioso di violenza.