Annamaria Rufino, la cultura di un popolo si fonda sulla formazione
27 Ottobre 2022Professoressa Rufino, nell’era del cosiddetto “villaggio globale” sembrava che tutto dovesse semplificarsi ed invece tutto è diventato maledettamente complicato.
Non tutti ricordano che la definizione “villaggio globale” risale al lontano 1964, quando ancora la globalizzazione era lontana dagli universi di vita dei cittadini del mondo. Marshall McLuhan aveva individuato nella sostituzione del mondo meccanico con il mondo elettrico un cambiamento epocale, che avrebbe fatto “correre” più velocemente il mondo. Certo, si riferiva, principalmente, al mondo della comunicazione, ma i due termini, meccanico ed elettrico, rappresentavano un modello di vita per ogni essere umano e per ogni cosa. Quell’elettrico, come tutti sappiamo, si è trasformato in virtuale, assorbendo, via via, tutta la realtà, che, così, si è progressivamente “slegata” dal mondo reale, potremmo dire “meccanico”. E’ proprio questa contrapposizione tra reale e virtuale che ha determinato un’ipercomplessità, in cui i cittadini del mondo fanno fatica a collocarsi e riconoscersi. La complessità si è ritradotta in complicazione!
L’approccio di studio alla realtà contemporanea richiede interventi di sociologi, psicologi e magari, anche se da qualcuno può essere considerato un’iperbole, di psichiatri. Condivide?
Purtroppo, il problema è a monte! E’ giustissimo sostenere che, per l’analisi dei fenomeni sociali contemporanei, sono necessari sociologi, psicologi e, perché’ no, psichiatri, volendo rimanere in ambito latamente umanistico. Ma, ciò che emerge con evidenza, è che tali competenze sono sostanzialmente lasciate ai margini di quelle sistemazioni analitiche che possono o devono rispondere ai problemi del nostro oggi. Le derive esistenziali, in tutte le fasce di età, sono evidenti a tutti, ma restano accantonate, alla lettera, nel senso di rimanere nell’angolo!
Fino a qualche anno fa i rapporti fra Usa ed Russia sembravano avviati su sentieri promettenti e produttivi. È bastata la guerra di Crimea prima e la successiva aggressione dell’Ucraina per rimettere tutto, pericolosamente, in discussione. È restato poco, per non dire nulla, delle “magnifiche sorti e progressive”.
La storia avrebbe dovuto insegnare che il conflitto è sempre dietro l’angolo. La complessità del mondo economico e finanziario, oltre che politico, crea buchi, dove facilmente si innestano i conflitti. Il vero sconfitto dei nostri è il mondo diplomatico, su cui, all’inizio della storia moderna, si era strutturata proprio la “storia” del mondo, al fine di prevenire e gestire e guerre.
Otre trenta le guerre combattute nel mondo, milioni i bambini assediati dalla fame e sfruttati dal lavoro minorile. Anche ad un osservatore “distratto” non può sfuggire che le cose così non vanno.
I conflitti nel mondo sono tanti, in pochi li conoscono tutti. Non se ne parla mai abbastanza o per nulla. Come se i conflitti che affliggono milioni di esseri umani, distruggendo vite, creando o aumentando povertà, malattie e disagi, appartenessero ad un altro universo. Inutile e superfluo evidenziare che ciò che muove il mondo sono gli interessi economici e, in sintesi, l’egoismo.
C’è poi l’infezione da coronavirus, la pandemia, quella sì globale ad alimentare dubbi incertezze e perplessità. Se dicessimo che il senso che pervade l’umanità contemporanea è la precarietà, mica andremmo troppo lontano?
Assolutamente no! La globalizzazione ha prodotto, come non mai nella storia, insicurezza e l’insicurezza è la principale alleata della precarietà’.
La cultura ultima spes. È il mondo dell’insegnamento, quello accademico che – come sta avvenendo in Iran dove una ragazza viene uccisa per un ciuffo fuori posto – ancora resistono alle regressioni indotte da totalitarismi sempre più numerosi e autorizzo distorto delle religioni. È Sufficiente per poter guardare ad un mondo che possa trovare in se stesso la forza del proprio riscatto?
Potrebbe essere abbastanza sufficiente. Sulla formazione si fonda la cultura di un popolo, di tutti i popoli, pur nella loro differenza, ma, soprattutto, sulla cultura si fonda la coscienza civile. Ma siamo sicuri che la formazione, a tutti i livelli, sia veramente presente e “vigile”? Io non credo, i buchi sono tanti, così come tante sono le distanze dalla responsabilità’ di formare in tal senso.