Dissonanze
17 Giugno 2023C’è un appuntamento estivo per gli amanti della musica wagneriana. Si svolge ogni anno a Ravello un paesino della costiera amalfitana in provincia di Salerno dove Wagner, dopo aver festeggiato il suo sessantesimo compleanno a Napoli, soggiornò, incantato dalla bellezza del panorama, dal silenzio e dall’ architettura arabo-bizantina di villa Rufolo. Furono la villa, i giardini, la loro storia che ispirarono gli incanti di Klingsor, lo spirito del male, che attrasse con la magia i Cavalieri del Graal e aggiunsero un tocco magico alla sua ultima opera drammatica “Il Parsifal”.
Son passati tanti anni. Non ricordo quanti perché il tempo nella sostanza è sempre uguale nella sua monotonia, fatta di giorno e notte, di sole e luna, di un principio e fine. Le lancette dell’orologio si inseguono e sovrappongono in un gioco rotondo. È un continuo liquido e inafferrabile. Vive in sé stesso e non ammette ingerenze ma trascina le nostre storie come anime vaganti che creano l’illusione in un tempo della memoria parallelo alla sua linearità. Il tempo non concede agli umani di ingoiare la saliva.
Vivevo, quel giorno, un ‘esperienza che ricordo, ancora oggi, nella sua integrità e nella molteplicità delle sensazioni che danno vita e nostalgia al presente di una persona, ormai, matura.
Una serata incantevole. Sorgeva lentamente una luna piena, in un cielo al tramonto dove “lucea vespero vermiglio”. Ero immerso in questo infinito quando dall’orchestra schierata sul palcoscenico dall’odore di legno umido e, come libellule, si staccarono dal pentagramma le note del “Vascello fantasma “. Volarono libere ed evanescenti nello scenario incantevole della costiera amalfitana: un rosario di piccoli paesi sospesi tra mare e montagna, frastagliati e inaccessibili. Eravamo in una realtà metafisica, in un clima sospeso quando improvvisa “la stecca” una nota stonata, bestia nera dei musicisti, il sottile brivido di un elemento solitario e trasgressivo fuoruscito dal popolo di orchestrali disciplinato, bacchettato, in abito scuro e papillon. Uno strumento a fiato risvegliò il sonno eterno dei crociati, animò le vecchie cartiere, causò una crisi asmatica nei pesci che guadagnarono precipitosamente la superficie a bocca spalancata.
Nessuno commentò forse perché nella vita di ciascuno di noi c’è sempre, a dir poco, una nota o tante note stonate. Esiste un’abitudine, nella nostra cultura, di dare un numero ai fatti inusuali, un anima: retaggio di una “cabala “presente nel costume antico di popoli mediterranei, civiltà sedimentate in antiche rovine e le cui pietre parlano se interrogate . La differenza, tra antico e moderno è in un uso poco sacrale e meno nobile. Infatti, oggi, con i numeri, i vivi, di giorno giocano al lotto bianco rosso e …nero, i morti…suggeriscono nel cuore della notte, tra scricchiolii sinistri e qualche pipistrello al Covid, una quaterna vincente come nella commedia di Eduardo De Filippo “Non ti pago”, retaggio di una Napoli indolente e sentimentale, solare e canterina. Dissi a me stesso sottovoce: “Non è vero ma ci credo”. Giocai al lotto dopo aver consultato la Smorfia: l’orchestra, la luna, la tromba e la stecca.
Una quaterna secca che fece “Stecca”