Quante maschere indossi sul grande palcoscenico della vita
16 Novembre 2024Si intrecciano le dita delle mani. Sembrano mani in preghiera, mani che si stringono. Sono le ombre cinesi che tu crei in una continua metamorfosi. Dita che giocano. Si sovrappongono, nascondono. Come un test di Rorsbach a tratti si fermano in una immagine fissa, cementificata sul muro come su uno schermo e ti chiedono sperando che tu “ti” risponda quale disagio esprimi e quante sono le maschere che indossi sul grande palcoscenico della vita.
Non ci sono fermate. Scorre il tempo sul tempo infinito, tra globi sospesi nel cielo affollato da una mitologia antica. Il ticchettio di un orologio scandisce la vita con le note del gioco finito. L’orologio/molle di Salvator Dalì interpreta dell’autore un rifiuto della regola del tempo. Implode e si libera della schiavitù di scandire ossessivamente ore, minuti, lancette, numeri. Si snoda e sgranato perde lo spazio di casa tua, della piazza che diffonde l’attesa delle ore. Perde il rituale di una primitiva funzione che ripete che a quell’ora suona la campana e tua madre raccoglie la fronte tra le mani e condivide sottovoce con te la preghiera dell’Angelus. Il suono richiama i contadini dal lavoro dei campi prima che venga sera e, a distesa, annunzia il giorno della festa. Risveglia la nostalgia ed esplora il silenzio delle assenze. Ma l’orologio di Dalì è sospeso per metà sul bordo di un tavolo, l’altra metà è un’immagine liquida e deforme in procinto di cadere nel brodo primordiale rigenerando la sua inutilità. Si veste di metamorfosi e sogna di diventare, da battitore del tempo finito, un Dio immortale e assassino che divora i suoi figli. Mi chiedi se in quell’orologio c’è il desiderio d’immortalità, la ribellione dell’uomo verso il suo destino. Ovidio narra del mito di Glauco il pescatore che mangia l’erba dei pesci e sale al settimo cielo e diventa una divinità. Di Callisto che da giovane fanciulla diviene, per volere di Zeus, la costellazione dell’Orsa Maggiore che indica la via sicura ai naviganti. Di Pegaso il cavallo alato. Augusto divinizzato è un astro lucente che illumina la storia.
Metamorfosi: Angeli e demoni… In una notte di plenilunio in un paese di montagna trafitto da aghi di luce che penetrano dalla cima degli alberi o, nell’oscurità della notte, sulle rughe del mare, ti sveglierà l’ululato dei Lupi discesi a valle. La tua stanza si illuminerà della luce pallida e sinistra del plenilunio e il tuo pensiero risveglierà la metamorfosi dell’uomo/lupo mannaro. Molti diranno di averne sentito l’ululato e intravisto la sua ombra fuggente. È la pietra miliare della metamorfosi tramandata da secoli da padre a figlio, espressione di una narrazione che abita la stanza profonda della paura.
Angeli e demoni vivono senza tempo. Sono tempi moderni abitati dalla semeiotica del dottor Jekyll e mister Hyde. Non la metamorfosi decisa dal fato o da Dei capricciosi ma, l’unica metamorfosi alla quale assistiamo: la dipendenza da droghe assassine che trasformano, molto spesso, la mente e le azioni dei nostri giovani.