A chi giova screditare la sanità pubblica?
8 Giugno 2024Da passato al presente esiste un diverso sentire, una diversa cultura della vita. Da passato al presente si è profondamente trasformata la nostra società. Solo il tempo resta immutabile nel suo instancabile destino. Tic-tac scandiscono le pietre miliari del nostro viaggiare. Un viaggio che ci rende diversi e diversamente vulnerabili e definiti. La realtà è che non esiste l’araba fenice ma l’ora della fragilità che sfugge ai desideri, agli affetti e, molto spesso, alla logica dell’età. Nessuno possiede il governo della vita e della morte e non esiste una morte addomesticata da una medicina tecnologica. Il fine vita non può essere interpretata come un’aggressione che inverte nel nulla le nostre aspettative, i progetti, un futuro di speranza. Se esiste la convinzione dell’aggressione non è il medico nella veste istituzionale di guaritore o la tecnologia ad esserne la causa, il colpevole da aggredire e punire.
“Dammi ancora del tempo”. A chi chiede, la morte risponde “Tutti lo vorrebbero ma non concedo tregua” (dal film il settimo sigillo di Ingmar Bergman).
La finitudine umana è l’appuntamento d’obbligo sul bagnasciuga di un’anonima spiaggia approdo del Cavaliere, del suo eroismo in guerra, per un’ultima partita a scacchi con la morte. È l’ultima illusione dove termina ogni attesa e chi perde, perderà la vita.
Il negazionismo, la presa di distanza da ogni forma di realtà a chi giova? (è il cui prodest di Seneca). A chi giova screditare il corpo sanitario nel suo quotidiano impegno nel ridare salute e benessere a coloro che non hanno salute e benessere. Sono altre e più complesse le motivazioni. Ci ritroviamo di fronte al consueto artificio escogitato ad arte dai furbetti del quartierino, a un diversivo dalla realtà per delegittimare la medicina pubblica e accreditare una sanità privata, gestita da imprenditori, politici e società private. Una sanità il cui parametro d’ingresso si discosta, troppe volte, dalla morale e stabilisce la nota vincente in un concetto discriminatorio: “Tantum sis quantum habeas” diversamente sei un nulla. Per concretizzare ancora meglio il pensiero degli antichi romani aggiungerò: “Homo sine pecunia est imago mortis” ne farò una traduzione non letteraria ma concettuale “l’uomo senza soldi è un uomo morto”.