Acto ed è subito Alleanza contro il tumore ovarico
15 Dicembre 2018“Le parole che vorrei”, è questo il titolo della campagna di sensibilizzazione che l’Associazione ha messo in campo…”perché anche con le parole la convivenza con la malattia è possibile.
Migliorare anche con le parole la convivenza con la malattia è possibile, seguendo i ‘buoni consigli’ di Alleanza Contro il Tumore Ovarico (Acto) che a questo argomento ha dedicato la campagna ‘. Oltre 1,5 milioni le persone che l’hanno seguita su Facebook e tantissimi i suggerimenti sulle giuste parole da usare con una donna con tumore ovarico. Parole sincere, d’amore, di speranza e gesti che ‘parlino’ al cuore delle donne.
Quali sono le parole che una donna con tumore dell’ovaio vorrebbe sentirsi rivolgere?
Acto (Alleanza contro il tumore ovarico) onlus lo è andato a chiedere alle dirette interessate, attraverso la campagna ‘Le parole che vorrei’, lanciata su Facebook e sul sito www.acto.it.
“La campagna – spiega Nicoletta Cerana, presidente di ACTO Onlus – nasce proprio dall’esigenza delle donne di raccontarsi e raccontare la loro malattia con parole diverse dal passato. Quando Acto è nata nel 2010, solo 8 donne su 10 sapevano dell’esistenza di questa malattia. In tutti questi anni abbiamo raccontato la malattia con le parole della realtà, che a volte erano anche ‘brutali’. Perché a lungo questo è stato un tumore ad elevata mortalità, che in molti chiamano ancora ‘killer silenzioso’.
Ma oggi la realtà, quella della diagnosi e delle terapie, è molto diversa e anche le parole con le quali parliamo di tumore dell’ovaio devono adeguarsi, devono cambiare. Il tumore dell’ovaio oggi non è più una sfida tra la vita e la morte, ma una sfida di convivenza”
Alla presentazione della campagna Ha preso parte anche la Senatrice Maria Rizzotti, membro della XII Commissione Igiene e Sanità del Senato che, dopo aver ricordato le sue battaglie che hanno portato all’esenzione dal ticket per il test BRCA 1 e 2 e all’istituzione delle Breast Unit in tutte le Regioni, ha auspicato il passaggio dalle parole ad uno standard qualitativo nell’approccio alle pazienti che comprenda anche l’attenzione alla loro sfera psicologica.
“E’ necessaria una rivoluzione culturale – auspica l’On. Rossana Boldi, vicepresidente XII Commissione Affari Sociali della Camera – sul fronte del linguaggio che investa davvero tutti. Adesso, la prossima battaglia riguarderà il fatto di rendere disponibili al numero maggiore possibile di pazienti l’accesso ai farmaci innovativi. Certo, c’è la barriera del costo, ma è necessario considerare la spesa per questi farmaci un investimento e non un costo.”
La campagna ‘Le parole che vorrei’ ha raggiunto 1,5 milioni di persone in rete, generando 100 mila visualizzazioni e 50 mila interazioni. Le donne hanno risposto in tante e “da tutti i loro suggerimenti – spiega Nicoletta Cerana – sono stati individuati dei denominatori comuni che ci hanno consentito di stilare una lista di ‘5 buoni consigli’”. Questi: le parole giuste sono le parole in cui si crede e in cui credere, perché la sincerità ripaga, sempre; le parole giuste sono le parole d’amore, per questo esprimete tutto il vostro affetto; le parole giuste sono quelle senza giri di parole, proponete soluzioni concrete; le parole giuste possono non essere parole, ma semplici gesti, se non sapete che dire, fate; le parole giuste sono quelle che vi auguriamo di ascoltare, la speranza genera speranza.
“Quando mi trovo davanti una paziente della quale conosco la prognosi – afferma la professoressa Nicoletta Colombo, direttore del programma Ginecologia Oncologica dello IEO e professore associato di Ostetricia e Ginecologia, Università di Milano-Bicocca – devo capire prima di tutto chi è la persona che ho davanti, per trovare il modo giusto di dare queste informazioni. Odio i paternalismi, ma cerco di dire la verità senza togliere mai la speranza. E questo è fondamentale per consentire alla paziente di proseguire nel progetto di cura, per supportare la sua resilienza, per darle un rinforzo positivo”.
“Le persone si vergognano di dire che hanno un tumore, non ne parlano e anche per chi sa, non è facile. A parlare è Mirosa Magnotti, una bella donna alta (è stata campionessa italiana di pallacanestro), imprenditrice, madre di tre figli, un marito medico che la adora. A Mirosa qualche mese fa è stato diagnosticato un tumore dell’ovaio e da allora ha iniziato le cure ma ha anche deciso di impegnarsi per le altre donne, per quelle che come lei hanno un tumore e per quelle che lo potrebbero intercettare precocemente attraverso i giusti esami. Per questo dallo scorso aprile ha fatto partire Acto Campania, del quale è presidente. “Sono una sportiva, da sempre. E lo sport mi ha insegnato a vivere, a lottare, a vincere e a saper perdere. Non voglio sentirmi dire che sono una guerriera. Ho bisogno di sentire che le persone che mi circondano mi vogliono bene. Con le parole e con i gesti. Per darmi forza”.
“Credo molto nell’alleanza tra medico e paziente – afferma il dottor Sandro Pignata, Responsabile del dipartimento di Uro-ginecologia, Istituto dei Tumori IRCCS – Fondazione Pascale, Napoli – e uno dei modi migliori per consolidarla è quello di non togliere mai la speranza ad una paziente. Anche quando le statistiche possono sembrare sfavorevoli, bisogna sempre ricordare che queste sono fatte di numeri e di deviazioni standard, e che dentro le deviazioni standard ci sono i guariti. Per il resto, ritengo che l’empatia sia una dote innata, che non si insegna a scuola. Certo, per un giovane medico, lavorare al fianco di un clinico esperto, con buone capacità comunicative, rappresenta una grande scuola. Per il resto, vale la pena ricordare che il mestiere dell’oncologo non è certo facile; il burn out è sempre dietro l’angolo, perché lavoriamo al fronte, in mezzo alla sofferenza, a volte in condizioni disagiate anche da un punto di vista logistico.”
“Le parole – afferma la dottoressa Elisabetta Razzaboni, che ha già seguito per ACTO la campagna ‘Io scelgo di sapere’ – producono dei cambiamenti anche a livello biologico e possono avere un effetto curativo. Mi fanno venire in mente il kintsugi, l’arte giapponese di riparare con l’oro, di utilizzare un metallo prezioso per riparare degli oggetti in ceramica andati in pezzi. Una tecnica che trasforma in bellezza la ferita riparata. E le parole possono diventare come quell’oro. Purtroppo manca ancora una cultura del linguaggio. Ma esiste un’empatia terapeutica che è strumento professionale e che con la Società Italiana di Psico-Oncologia stiamo cercando di far conoscere. E’ importante per tutti imparare a sviluppare un linguaggio con parole ‘salutari’ che ruotino intorno a tre concetti cardine: verità, utilità, benevolenza. Quando si parla con una paziente affetta da un tumore è fondamentale utilizzare una sincerità ‘modulata’, dare la notizia con tatto, delicatezza, benevolenza. La paura della paziente non va trasformata in coraggio, ma in fiducia che è quello che dobbiamo dare alle persone.”
A seguire la video intervista a Mirosa Magnotti.