Adenomi ipofisari silenti, valutazione del rischio metabolico e cardio-vascolare
17 Febbraio 2022Gli adenomi ipofisari sono classificati in base alle dimensioni (micro vs macro) o alla possibilità di produrre una sindrome associata (secernenti vs non secernenti). Gli adenomi non secernenti, prevalenti negli ambulatori di endocrinologia e meglio definiti come clinicamente non funzionanti (NFPA), sono a loro volta un gruppo eterogeneo, che comprende quelli silenti, caratterizzati dall’espressione immuno-istochimica (IIC) sul pezzo operatorio di una o più tropine ipofisarie in assenza di una sindrome clinica rilevabile. «Gli adenomi silenti, soprattutto quelli con positività per ACTH, sono stati frequentemente associati ad esito clinico peggiore, per la maggiore tendenza all’invasività e alla recidiva post-chirurgica. Una caratterizzazione completa di queste lesioni è quindi fondamentale per un adeguato follow-up» spiega Maurizio Poggi, Ambulatorio Patologia Ipofisaria, AO Sant’Andrea, Roma. «Nel tentativo di una migliore caratterizzazione delle implicazioni cliniche correlate alla presenza di un adenoma clinicamente silente» segnala «autori giapponesi hanno recentemente valutato l’eventuale correlazione tra la presenza di una lesione ipofisaria di questo tipo e alcuni marcatori caratteristici di aumentato rischio cardio-vascolare (CV) e metabolico. Hanno quindi condotto uno studio retrospettivo monocentrico, che ha esaminato tutti gli NFPA operati in un arco temporale di circa dieci anni». È stato possibile valutare, per completezza di informazioni anamnestico-cliniche e di IIC, un gruppo di 74 adenomi: 20 classificabili come null-cell adenoma (esclusi dalla valutazione) e 54 che presentavano una qualche positività all’IIC (GH 50%, LH/FSH 59.3%, TSH 51.9%, ACTH 38.9%, PRL 16.7%). «Lo studio pre-operatorio del sotto-gruppo con IIC positiva evidenziava alta prevalenza di obesità (46%), alterazioni del metabolismo glucidico in circa il 30%, ipertensione arteriosa nel 53% e dislipidemia nel 64%. La correlazione dei parametri metabolici e CV con i dati IIC evidenziava una minore prevalenza di ipertensione negli adenomi GH-positivi rispetto ai GH-negativi (37% vs 70.4%, p = 0.014), mentre non vi era nessuna differenza nei restanti parametri (obesità, intolleranza glicidica e dislipidemia) tra il gruppo degli adenomi “positivi” e quelli “non positivi”. Inoltre» riferisce Poggi «anche l’analisi di regressione logistica, dopo normalizzazione per età, sesso e BMI, confermava la positività all’IIC per GH come fattore indipendente protettivo verso l’ipertensione (in contrasto con quanto avviene per l’acromegalia). Infine, il confronto tra i gruppi GH/PRL/TSH vs LH/FSH vs ACTH (in accordo alle differenti linee di sviluppo dei fattori di trascrizione, come suggerito nelle linee guida WHO del 2017) non evidenziava differenze di prevalenza dei parametri considerati tra i diversi gruppi». Gli autori di questo studio, quindi, in considerazione dei risultati ottenuti riguardo al parametro clinico ipertensione, sottolineano come gli adenomi ipofisari silenti talvolta possano secernere minime quantità di ormoni in grado di modificare alcuni parametri clinici in modo non trascurabile. Questa possibilità dovrebbe essere sempre tenuta in considerazione nel periodo immediatamente successivo al trattamento neurochirurgico, per la rivalutazione delle terapie in atto, come quelle anti-ipertensive. «Saranno necessarie ulteriori e più ampie casistiche per confermare questi dati» fa notare Poggi «considerando i limiti del lavoro evidenziati dagli stessi autori: disegno retrospettivo, non precisa definizione dell’IIC, valutazione inadeguata del compenso dell’asse ipofisi/surrene effettuata solo mediante dosaggio del cortisolo basale e senza valori di cortisolo urinario, variabilità del periodo di raccolta dei dati ormonali nel post-operatorio tra i vari pazienti. A queste criticità si aggiunge la discutibile caratterizzazione dei gruppi valutati, con la scelta di definire obesi indistintamente tutti i soggetti con BMI > 25 kg/m2 e di inserire in un unico gruppo soggetti affetti da intolleranza glucidica, alterata glicemia a digiuno e diabete mellito franco; ciò potrebbe aver contribuito alla difficoltà di interpretazione dei dati e alla mancanza di significatività nel confronto pre- e post-intervento per numerosi parametri (come per esempio quelli metabolici)». In conclusione, l’approccio diagnostico e terapeutico degli NFPA ha ancora molti aspetti da definire e chiarire. «Questo lavoro, pur non potendo da solo modificare le attuali evidenze, suggerisce un più attento inquadramento clinico di queste lesioni, che talvolta, pur essendo silenti, possono presentare aspetti ormonali da monitorare in maniera più approfondita» afferma Poggi.
Fonte:DoctorNews33