Aids: in aumento i casi fra gli adolescenti

Aids: in aumento i casi fra gli adolescenti

22 Novembre 2019 0 Di La Redazione

Infezione da Hiv, terapie efficaci ma bisogna migliorare aderenza e qualità di vita. Restano fondamentali prevenzione, consapevolezza dei rischi e accesso ai test.

 

 Recenti indagini epidemiologiche hanno evidenziato un aumento dei contagi tra i giovani tra i 15 e i 24 anni, le diagnosi sono spesso tardive e aumenta il numero delle persone sieropositive viventi, attualmente in Italia circa 130mila. Ciò implica una nuova gestione del paziente HIV cronico.

Negli ultimi anni si è verificato un calo di attenzione sul tema dell’HIV. Sono diminuite le campagne di sensibilizzazione e di comunicazione nelle scuole, come se l’AIDS fosse un ricordo del passato. Ciò ha ridotto la percezione del rischio tra le persone, soprattutto tra i più giovani, determinando l’incidenza più alta di nuove diagnosi nella fascia di età adolescenziale (15-24 anni), rispetto agli anni passati, nonostante i dati disponibili mostrino che le nuove infezioni siano diminuite del 20% nel 2018 rispetto al 2017 e le morti ridotte di un terzo tra il 2000 e il 2016. In Italia nel 2018, sono state riportate, entro il 31 maggio 2019, 2.847 nuove diagnosi di infezione da Hiv pari a 4,7 nuovi casi per 100.000 residenti. L’incidenza di nuove diagnosi Hiv tra i giovani di età inferiore a 25 anni ha mostrato un picco nel 2017.

Tra le regioni più popolose, l’incidenza della malattia più alta è stata registrata in Lazio, Toscana e Liguria. Le persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nel 2018 sono maschi nell’85,6% dei casi (fonte dati Centro Operativo Aids, Istituto superiore di Sanità). Resta dunque forte l’esigenza di tornare a dare valore ad una patologia per cui, al momento, non esiste ancora una cura risolutiva, nonostante i passi avanti fatti dalla ricerca scientifica. L’Hiv è diventata una malattia cronica e ciò significa che non sia possibile abbassare la guardia. Inoltre, la cronicizzazione del paziente che invecchia con comorbilità richiede nuovi modelli gestionali, che consentano al malato una qualità della vita paragonabile a quella di altri pazienti cronici.

“Il fatto che l’incidenza più alta di nuove diagnosi di Hiv continui a essere registrata tra i giovani adulti, di età compresa tra i 25 e i 29 anni, ci deve preoccupare – dichiara il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri. – tra le nuove generazioni c’è una scarsa consapevolezza e conoscenza del virus, di come si trasmetta e di cosa fare per difendersi dal rischio di infezione. Molti confondono la prevenzione delle gravidanze indesiderate, mediante l’uso della pillola contraccettiva, con la prevenzione Hiv e dalle altre malattie che si possono prendere durante un rapporto sessuale non protetto, contro cui l’unica arma davvero efficace è il profilattico. Molti altri invece si vergognano a comprare i profilattici. Dobbiamo dunque domandarci quali siano le ragioni e trovare una soluzione per superare pregiudizi e imbarazzi. Sarebbe importante introdurre l’educazione sessuale nelle scuole, prevista tra l’altro da un protocollo d’intesa del 2015 tra il ministero della Salute e il Miur, per cui esiste già una proposta di linee di indirizzo. Sarebbero utili anche iniziative per la distribuzione gratuita di preservativi agli studenti delle università e delle scuole secondarie di secondo grado”.

“La tendenza alla riduzione delle nuove diagnosi che si osserva per la prima volta da alcuni anni nei dati di sorveglianza 2018, ha verosimilmente a che fare con l’accesso universale alla terapia promosso dalle Linee-Guida Italiane e al centro delle strategie adottate dai clinici italiani – dichiara il Prof. Andrea Antinori, Direttore UOC Immunodeficienze Virali dell’Istituto Lazzaro Spallanzani di Roma. – La persona HIV-positiva in terapia antiretrovirale con viremia soppressa non trasmette l’infezione e questo fondamentale principio epidemiologico, definito con il termine Terapia come Prevenzione (Treatment asPrevention, TasP) è alla base della riduzione delle nuove diagnosi osservata in altri paesi europei. Inoltre, esistono sul territorio nazionale diverse iniziative di accesso al test Hiv, sia nei centri clinici che al di fuori dell’ambiente ospedaliero, in programmi di collaborazione tra centri di Malattie Infettive e Associazioni per la lotta contro l’Aids, e i risultati iniziano a vedersi. C’è bisogno di potenziare queste iniziative di accesso al test e di inizio precoce della terapia antiretrovirale, come pure di ampliare e promuovere l’uso della profilassi pre-esposizione (PrEp), strumento indispensabile per arrivare a una stabile e progressiva riduzione di incidenza delle nuove diagnosi”.

Nel 2018 si è osservata per la prima volta una marcata diminuzione (di circa il 20% rispetto all’anno precedente) delle nuove diagnosi di Hiv in Italia. Questa riduzione è da attribuire in larga parte all’efficacia delle terapie antiretrovirali ed alle nuove linee guida terapeutiche che prevedono un inizio precoce del trattamento dopo la diagnosi.

“Ciononostante – sottolinea il professor Claudio Mastroianni,Segretario Simit – Università Sapienza, Roma – restano ancora alcuni dati preoccupanti di cui bisogna tenere conto: l’aumento del picco di incidenza tra le persone al di sotto dei 30 anni, a testimonianza che occorre ripensare alle strategie di prevenzione tra i giovani; un aumento della percentuale di persone che scoprono di essere sieropositive per HIV nella fasi avanzata della malattia (57% nel 2018) collocando l’Italia al di sopra della media Europea; l’aumento del numero delle persone sieropositive viventi, circa 130mila attualmente”.

“L’Hiv può restare asintomatico e silente per molti anni prima della comparsa dei primi sintomi – evidenzia la dottoressa Barbara Suligoi, Centro Operativo Aids presso Istituto superiore di sanità. – È pertanto cruciale fare una continua informazione sulla diffusione di questa infezione al fine di non sottovalutarne la rilevanza. L’effettuazione del test Hiv, da eseguire ogni qualvolta ci si sia esposti a rapporti sessuali non protetti con persone di cui non si conosce bene lo stato di salute, e l’uso del preservativo, che consente di proteggersi dall’Hiv e da numerose altre infezioni sessualmente trasmesse, costituiscono due strumenti cardine per la prevenzione e il controllo di questa infezione tuttora dilagante”.

Si stima che in Italia vivano circa 130mila persone con Hiv, di cui 110mila diagnosticate, 94mila seguite, 82mila in terapia antiretrovirale, e 73mila virologicamente soppresse: questo significa una differenza di quasi 60mila persone (il 44%) fra chi ha l’infezione e chi ha l’infezione sotto controllo. Il Rapporto Osmed-Aifa 2018, con riferimento ai farmaci antiretrovirali, mostra come la spesa per questa tipologia di farmaci sia in diminuzione (a fronte di un costante aumento dei pazienti trattati), assestandosi intorno ai 700 milioni di Euro-anno (in calo rispetto alle altre terapie). “Occorre, quindi, garantire l’accesso universale alle cure, facendo ricorso ad un nuovo modello complessivo di gestione dell’Hiv – sottolinea il professor Francesco Saverio Mennini, Research Director, Centro Eehta, Ceis, Università di Roma Tor Vergata. -La scelta di definire quindi un Pdta a seguito di corrette valutazioni delle tecnologie sanitarie deriva dall’impatto epidemiologico che ancora oggi ha questa patologia. È necessario anche attivarsi maggiormente verso la cosiddetta “emersione del sommerso”: il Ministero della Salute ha stimato che in Italia la carica virale sia soppressa nel 52% dei pazienti Hiv, per cui è necessario implementare un sistema che favorisca maggiormente la diagnosi dell’infezione. È evidente la necessità di bilanciare evidenze ed opinioni considerando la componente economica e gestionale; un bilanciamento tra evidenze ed opinioni. Ciò è possibile mediante alcuni procedimenti: l’implementazione di un modello per la valutazione d’impatto economico ed assistenziale del protocollo a livello regionale, comprensivo anche dei costi totali dell’assistenza, secondo metodologia di Health Technology Assessment (Hta); l’applicazione di un piano per il monitoraggio dell’efficacia del protocollo con verifiche semestrali dal parte del tavolo tecnico; la previsione di un programma per la promozione di sperimentazioni cliniche o di registri osservazionali su nuove strategie in relazione alla finalità del protocollo”.

“La ricerca condotta in tutti questi anni ha portato alla scoperta di vere e proprie pietre miliari che hanno cambiato il destino di questa tragica infezione, riducendo drasticamente la mortalità dei pazienti sieropositivi, aumentandone enormemente l’aspettativa di vita – afferma Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratore Delegato Msd Italia. – Nonostante i grandi passi in avanti compiuti nel trattamento dell’HIV e alla possibilità odierna di cronicizzare la malattia, rimangono tuttavia bisogni insoddisfatti legati da un lato alla necessità di garantire una buona Qualità di Vita nel lungo termine ai pazienti in terapia, e, dall’altro, all’urgenza di promuovere una prevenzione realmente efficace. Potremmo idealmente aggiungere questi due obiettivi ai “90-90-90” posti da Unaids per il 2020.

Un “quarto 90” dovrebbe riguardare la qualità di vita dei pazienti in terapia, per il 90% dei quali dovrebbe essere favorita una maggiore aderenza, una minore tossicità, una riduzione delle criticità legate alle interazioni farmacologiche e alla resistenza ai farmaci. Un “quinto 90” dovrebbe, inoltre, riguardare la prevenzione: abbattere del 90% le nuove infezioni attraverso campagne informative volte a combattere la disinformazione, creando i presupposti per la prima «Hiv-free generation».

Msd da oltre 30 anni è in prima linea nella lotta all’Hiv e vuole continuare a contribuire, con il proprio incessante impegno a scrivere nuove, promettenti pagine di questa storia. Per rispondere a questi bisogni emergenti lavoriamo ad ambiziosi programmi di Ricerca & Sviluppo con una solida pipeline di molecole affinché la gestione della malattia sia sempre più ottimizzata. Infine, in un’ottica di prevenzione e lotta alla disinformazione, portiamo avanti campagne innovative di sensibilizzazione su questa tematica che vanno proprio nella direzione di “rompere il silenzio” su un argomento di grandissima attualità, pericolosamente dimenticato e taciuto. C’è ancora tanto da fare ma INSIEME potremo fare davvero la differenza nella vita di molte persone. Perché la Vita, la Vita in buona salute, non è mai abbastanza!”