Alessandro Roppo: “Nessun obiettivo è raggiungibile senza la giusta mentalità”
26 Aprile 2023La fase pandemica più acuta sembra essere ormai alle spalle anche se i continui colpi di coda non lasciano del tutto tranquilli. Come ha vissuto, come vive, come ha affrontato e come affronta questa situazione di grande difficoltà per il mondo dello sport? Come ha gestito la paura del contagio ed il disagio legato alle severe misure restrittive?
L’incertezza, la mancanza di libertà e soprattutto la mancanza di confronto con gli altri, inizialmente, ha sortito un effetto spiazzante nel mondo sportivo che è caratterizzato proprio dalla competizione e dal confronto. Sicuramente ci sono stati ambiti che hanno subito conseguenze molto peggiori. Dopo una fase iniziale, lo spirito di adattamento, la ricerca di stimoli nuovi e alternativi, senza perdere coscienza di sé e dei propri obiettivi proiettati in avanti – nostro malgrado – su un orizzonte indefinito, e la ricalibratura del focus su ciò che poteva dipendere direttamente da noi stessi, su cui avevamo il controllo, ha consentito di non trovare scuse e di non abbandonarsi all’ignavia e alla rassegnazione. Spesso, specie nel mondo sportivo, la pavidità delle persone coinvolte nel sistema – seppure comprensibile – era più frustrante della inedita ed angosciosa situazione in sè. Per evitare di cadere preda della frustrazione ho dirottato l’attenzione su ciò che potevo fare e gestire direttamente piuttosto che su ciò che non potevo fare e su cui non potevo agire. La paura del contagio riguardava in particolare le persone fragili a me vicine, ma con le giuste attenzioni ed il buon senso si è potuti andare oltre. Sicuramente la mente ha giocato un ruolo fondamentale.
Insieme alle restrizioni ai tentennamenti del mondo politico hanno causato gravi danni allo sport, soprattutto a quello, cosiddetto, minore. Cosa è successo, in particolare, nella sua specialità?
Gli sport considerati minori hanno sicuramente sofferto causa la cronica mancanza di risorse necessarie a navigare attraverso la tempesta pandemica. Il prezzo più caro lo hanno pagato i settori giovanili ed in particolare i preadolescenti e adolescenti ai quali sono state sottratte esperienze e opportunità che non potranno recuperare. In molti casi la lontananza dallo sport ha causato il peggioramento anche nelle altre sfere della vita evolutiva ed esperienziale giovanile, ad iniziare dallo studio. Successivamente alla ripresa progressiva delle attività si è notata una notevole contrazione dei numeri di sportivi giovanissimi. Questa tendenza sembra essersi invertita per quelle realtà che hanno saputo gestire meglio il periodo avverso adattandosi nel migliore dei modi. Dal punto di vista sportivo e competitivo nel vero senso della parola, la differenza è stata fatta da quelli che sono stati in grado di assorbire meglio l’impatto mentalmente e che hanno agito senza esitazione cercando di creare (o colmare) quel gap competitivo che gli ha potuti avvantaggiare alla ripresa, consci che molti avrebbero mollato e molti altri avrebbero potuto sbagliare nel gestire una situazione terribile, imprevista ed imponderabile. Di fatto si è cercato di porre attenzione a tutta una serie di aspetti (analisi, studio, tecnica, tattica, costruzione, ecc) che solitamente – in condizioni normali – si ha meno tempo di sviluppare, tralasciando tutto ciò che era limitato o impossibile da affrontare nel giusto modo causa le restrizioni imposte dalla situazione.
Chi è stata a spingerla all’attività agonistica? O si è trattato di una folgorazione magari guardando ai modelli dei grandi campioni?
In realtà nessuno mi ha mai spinto all’attività agonistica, da quel che ricordo ho sempre iniziato uno sport pensando alla competizione. C’è sempre stato un richiamo alla competizione anche perché, di fatto, lo sport si basa su misure, tempi, punteggi, classifiche e chi si approccia al mondo sportivo lo fa motivato a raccogliere la sfida di misurarsi, migliorarsi, spostare sempre più avanti il proprio limite (che sia la partecipazione alle Olimpiadi o il torneo scolastico) anche se questo richiede sacrificio, rinuncia, sudore, sconfitte, sofferenza… ma le emozioni e sensazioni che si provano durante una sfida e le poche e brevi soddisfazioni (rispetto alla mole di lavoro e sacrificio sostenuti per arrivarci) cui a volte si arriva ripagano di tutto e non sono descrivibili né spiegabili. Solo chi le vive grazie alla propria passione per lo sport agonistico le può comprendere. Alla fine il rischio di perdere, di infortunarsi e di sbagliare c’è sempre (sotto ogni punto di vista) e fa parte del gioco, ma la sconfitta non è mai un fallimento se l’intento è arduo e nobile e se non ci si è risparmiati. Penso che questo mood abbia aiutato molti sportivi a sopportare ed attraversare la pandemia (con tutto quello che ne è conseguito) consci che, senza mollare, il proprio momento sarebbe arrivato.
Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
L’aspetto mentale è fondamentale e preponderante! Nessun obiettivo è raggiungibile senza la giusta mentalità, non esistono scuse! Su questo tema ci potremmo dilungare per ore, anzi giorni…
Se dovesse dare qualche “consiglio utile” ai ragazzi che si avvicinano alla sua specialità, cosa suggerirebbe?
Il suggerimento che posso dare ai ragazzi che si avvicinano allo sport, a qualsiasi disciplina, è sicuramente quello di seguire il richiamo, scegliere liberamente, assecondare la propria passione, divertirsi (in modo da godere anche del sacrificio), crederci sempre anche quando sono gli unici a farlo e non mollare mai. Devono sognare e fare di tutto per realizzare il proprio sogno ignorando i condizionamenti negativi esterni ovvero traendo motivazione da essi… perché i sogni si possono realizzare!