Alla scoperta della valle del Sele e dell’Ofanto

Alla scoperta della valle del Sele e dell’Ofanto

3 Agosto 2024 Off Di Corrado Caso

Terra arsa e alluvionale dove il vento porta l’eco di voci lontane, il richiamo di contadini, l’esprimersi in un dialetto antico che risale   in rapide volute sulle pendici dei monti Cervialto e Polveracchio.
Altezze nascoste dove sgorgano le sorgenti del Sele e del Sabato che come vene aperte, scorrono lungo anfratti inaccessibili, cascate limpide, un gioco di luci e colori che risveglia la vita e si perde tra sassi bianchi e limpide discese. La valle del Sele è una immensa oasi ricca di acqua e di acque termali. Un susseguirsi di paesi arroccati dove natura, arte, storia si ritrovano nella proverbiale semplicità e ospitalità degli abitanti. È la testimonianza di una saggezza millenaria, tessuta su un costante rapporto con la natura, il  silenzio, il duro lavoro dei campi e la cui icona è l’Abbazia Benedettina del Goleto dei piccoli fratelli di Charles de Foucault., Un complesso monastico  fondato da San Guglielmo da Vercelli nel XII secolo. Un luogo di fede privilegiato che ha favorito una intensa vita spirituale per la presenza di monaci e monache di clausura. Una realtà attrattiva   per la spiritualità delle popolazioni dei paesi circostanti.
Ma la storia è un ordito, molte volte, di eventi drammatici. La quiete monastica fu profanata da una epidemia di peste che decimò in maniera risolutiva la vita e provocò la decadenza del convento. Lo sparuto numero di monaci e monache sopravvissute entrarono a far parte, nel 1515, dell’Abbazia di Montevergine.
Cosa resta, oggi, del Goleto…   Torna alla mente la parabola evangelica della casa costruita sulla roccia.  Un insegnamento di Gesù che chiude il Discorso della Montagna. Il Goleto sarà, per sempre, la casa che resiste alle intemperie della vita. È nuovamente luogo di preghiera, di spiritualità e accoglienza per gli abitanti e i pellegrini.
 Rifiorisce una natura incontaminata, campi verdi, alberi centenari e orizzonti sconfinati abitati dal pendolarismo del sole con la luna e le stelle. In questo scenario l’acqua è l’elemento primordiale che scorre come linfa   in mille rivoli. Bagna la vegetazione. Salta irrequieta da varie altezze innalzando minute gocce che ricadono come pioggia benedetta sui campi coltivati. È il mondo visibile, un mondo che appare nella sua bellezza, un mondo in poesia. L’acqua è, anche, un mistero nascosto.   Una forza misteriosa, un refrigerio a questo mondo che è avvolto intorno a un nocciolo incandescente. Un’ acqua intatta che pudica si nasconde in grotte profonde, abissi. Modella, come abile artigiano, pugnali trasparenti di stalattiti e stalagmiti.   Ma per un tempo breve perché l’acqua è luce che riflette il giorno e i globi lucenti della notte. Sul palcoscenico della vita il suo narcisismo la rende bevibile, ammirata, desiderata, indispensabile alle cose create.
 Come amici di cordata il Sele e il Sabato da una iniziale solitudine si ritrovano e discendono insieme in un ideale abbraccio nella speranza di consolare lo smarrimento, la perdita d’identità     del piccolo   che dovrà disperdersi in cento e cento molecole originarie nella gola profonda dell’enormemente grande: il mare.
La Campania con le sue sorgenti è terra di acqua, terra che dà l’acqua. Un invaso liquido e trasparente, un bene comune che condivide la vita. Lambisce le coste del mare Adriatico. Guarda idealmente oriente e occidente, popoli ricchi di storia, terre benedette e   inquiete.