Ancora sul Consenso informato
28 Dicembre 2018Ce ne è stata fatta esplicita richiesta, ed allora ritorniamo, con ulteriori approfondimenti, su di un argomento già trattato non molto tempo fa, sperando di portare un ulteriore contributo di chiarezza (ndr.)
La Suprema Corte di Cassazione, terza sezione civile, con una Ordinanza recante numero 2369 del 31 gennaio 2018 ha stabilito che il risarcimento del danno da assenza di consenso non è riconosciuto se il paziente avesse comunque acconsentito all’intervento.
In pratica, secondo la Cassazione, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente eseguito dal quale siano derivate conseguenze dannose, l’assenza di consenso informato può comportare il risarcimento del danno solo se il paziente riesce a dimostrare che, se avesse ricevuto un’adeguata informazione, avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento.
Può essere utile ricordare che la giurisprudenza della Suprema Corte, anche di recente, nell’affrontare la problematica del consenso informato (sotto il profilo del contenuto, delle modalità di acquisizione e del fondamento), ha avuto già modo di affermare che:
a) il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al
trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al
paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente
possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che
intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure
infrequenti (col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito che non assumo alcun tipo di rilievo;
b) il medico viene meno all’obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al
paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di
successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso, sicchè
non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente;
c) il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della
persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza, rinvenuti a seguito di un intervento concordato e programmato, per il quale sia stato richiesto ed ottenuto il consenso, e tali da porre in gravissimo pericolo la vita della persona – bene che riceve e si correda di una tutela primaria nella scala dei valori giuridici a fondamento dell’ordine giuridico e del vivere civile -, o si tratti di trattamento sanitario obbligatorio. Tale consenso è talmente inderogabile che non assume astratta rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica e/o psichica.
Il tema del consenso informato è stato oggetto di ulteriori precisazioni, da
parte sempre della Suprema Corte (Sentenza numero 26827 del 2017), la quale, ha affermato, in particolare che:
– la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori quando siano
configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto
fondamentale all’autodeterminazione in sè considerato, a prescindere dalla lesione
incolpevole della salute del paziente;
– il diritto all’autodeterminazione, distinto dal diritto alla salute, secondo
l’insegnamento della stessa Corte costituzionale (Sentenza numero 438 del 2008), rappresenta: da un lato, una doverosa e inalienabile forma di rispetto per la libertà della persona umana, atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sè e ne sancisce il rispetto in qualsiasi momento della sua vita, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive (Cassazione numero 23676 del 2008 e numero 21748 del 2007); dall’altro, uno strumento relazionale volto al perseguimento e alla tutela dell’interesse della persona, quale paziente, ad una compiuta informazione, che si sostanzia nella indicazione: delle prevedibili conseguenze del trattamento sanitario; del possibile verificarsi di un aggravamento delle condizioni di salute; dell’eventuale impegnatività, in termini di sofferenze, del percorso riabilitiativo post-operatorio; ad una corretta e compiuta informazione, infatti, consegue per il paziente: la facoltà di
scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico; la possibilità di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari; la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze postoperatorie; la facoltà di rifiutare l’intervento o la terapia, ovvero di decidere consapevolmente di interromperla; la possibilità di prepararsi ad affrontare dette conseguenze con maggiore e migliore consapevolezza;
– in questa prospettiva, viene in rilievo il caso in cui, alla prestazione terapeutica,
conseguano pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito non
sopportare nell’ambito di scelte che solo a lui è dato di compiere; nonchè la
considerazione del turbamento e della sofferenza che derivino al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate;
– tale tipo di danno non patrimoniale è risarcibile (in via strettamente equitativa)
ogniqualvolta varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dalle
sentenze delle Sezioni unite numeri 26972 e 26975 del 2008, che hanno condivisibilmente affermato che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico;
– diversamente, il paziente che chieda il risarcimento anche del danno da lesione della salute che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia compiuto senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, deve necessariamente allegare, sulla base anche di elementi soltanto presuntivi (Cass. n. 16503/2017) la cui efficienza dimostrativa seguirà una sorta di ideale scala ascendente, a seconda della gravità delle condizioni di salute e della necessarietà dell’operazione – che egli avrebbe rifiutato quel determinato intervento se fosse stato adeguatamente informato (Cassazione numero 2847 del 2010),
allegando ancora che, tra il permanere della situazione patologica in atti e le
conseguenze dell’intervento medico, avrebbe scelto la prima situazione, ovvero che,
debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successivo all’intervento con
migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e le
eventuali sofferenze) predisposizione la cui mancanza andrebbe realisticamente e
verosimilmente imputata proprio (e solo) all’assenza di informazione.
In definitiva, occorre qui ribadire che, in materia di consenso informato, il giudice deve interrogarsi se il corretto adempimento, da parte del medico, dei suoi doveri
informativi avrebbe prodotto l’effetto della non esecuzione dell’intervento chirurgico – dal quale, senza colpa di alcuno, lo stato patologico è poi derivato – ovvero avrebbe consentito al paziente la necessaria preparazione e la necessaria predisposizione ad affrontare il periodo post-operatorio nella piena e necessaria consapevolezza del suo dipanarsi nel tempo. Infatti, se il paziente avesse comunque e consapevolmente acconsentito all’intervento, dichiarandosi disposto a subirlo qual che ne fossero gli esiti e le conseguenze, anche all’esito di una incompleta informazione nei termini poc’anzi indicati, sarebbe insussistente il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e la lesione della salute, proprio perché il paziente avrebbe, in ogni caso, consapevolmente subito quella incolpevole lesione, all’esito di un intervento eseguito secondo le leges artis da parte del sanitario.
Pertanto, con specifico riferimento al riparto degli oneri probatori gravanti sulle parti, occorre ribadire: da un lato, che il consenso del paziente all’atto medico non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita; presuntiva, per contro, può essere la prova che un consenso informato sia stato prestato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sul medico; dall’altro, che, in presenza di un atto terapeutico necessario e correttamente
eseguito in base alle regole dell’arte, dal quale siano tuttavia derivate conseguenze
dannose per la salute, ove tale intervento non sia stato preceduto da un’adeguata
informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, il
medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute “solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzioni, che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non potendo altrimenti ricondursi
all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute” (Sezione terza, Sentenza numero 2847 del 09/02/2010, Rv. 611427-01).