Andrea Causapruna, ritratto di un artista a tutto tondo

Andrea Causapruna, ritratto di un artista a tutto tondo

3 Novembre 2024 Off Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

Ci sono artisti dal “multiforme ingegno” che è davvero difficile rinchiuderli in una cornice.  È questo certamente il caso di Andrea Causapruna che ha fatto spaziare i suoi interessi dalla Musica al Teatro, in entrambi i casi ottenendo significativi successi.

Lei è cresciuto a pane e Chopin, Mozart e Beethoven. Quale di questi “Companatici” è più vicino alla sua sensibilità musicale?

Personalmente amo a livello musicale i “companatici” più disparati, dal Blues al Jazz, dal rock all’elettronica fino alle musiche tradizionali africane, quindi direi di essere musicalmente onnivoro. Chopin, Mozart e Beethoven sono dei giganti della musica che rappresentano alcune delle vette più alte mai raggiunte dall’animo umano, direi questo in assoluto, anche al di là del contesto musicale o, in senso più lato, della cultura occidentale: le loro opere possono costituire un modello e un faro per tutti e sono da considerare un patrimonio dell’umanità universale. Accanto a essi, rimanendo in ambito della musica colta, tra i miei favoriti in assoluto devo aggiungere Bach e Debussy, ma potrei citare tantissimi altri musicisti e linguaggi musicali tra i più disparati, dal jazz all’eletttronica fino alla musica della tradizione africana. Perché, al di là delle tradizioni e degli stili, la musica è una e tra le arti è il linguaggio universale per eccellenza. Non è un caso che abbia usato proprio il termine universale, visto che l’attuale governo italiano ha abusato di questo termine in ambito propagandistico prima e legislativo poi,, mentre ci tengo a sottolineare come l’arte e la cultura siano da difendere come baluardo e antidoto contro la barbarie.

Diplomato in Chitarra classica al Conservatorio di Santa Cecilia lei si è perfezionato con maestri di vaglia a livello internazionale. Chi come lei compone in genere ha come strumento principe il pianoforte (anche se le eccezioni non mancano), come mai la scelta della chitarra come strumento di elezione?

Innanzitutto la mia formazione è come strumentista, anche se mi sono sempre divertito con la composizione. Naturale che componga in primis sulla chitarra, lo strumento che conosco meglio e sul quale mi esprimo. Le devo confessare, restando in tema, che da bambino avrei voluto studiare inizialmente il pianoforte e solo per caso mi è capitata tra le mani una chitarra. Ma del resto le mani sono l’ultima cosa a fare la musica, le mani realizzano e trasformano in suono qualcosa che viene da dentro. Da questo punto di vista, come dice lei giustamente, nell’immaginario collettivo si tende ad accostare la figura del compositore al pianoforte, ma è pieno di compositori che vengono da altri strumenti e non utilizzano o destinano al pianoforte le proprie composizioni. Inoltre se molti compositori, soprattutto quelli che ricercano un linguaggio prettamente idiomatico per un dato strumento, come per esempio Chopin, che componeva direttamente al pianoforte, c’è chi compone direttamente su carta o supporto digitale che sia. 

Al suo attivo ci sono rilevanti successi( fra gli altri significativi passaggi sulle reti RAI, Targa d’argento della Presidenza della Repubblica) sia come compositore che come esecutore. In quale di queste vesti si sente più realizzato?

Come musicista in entrambe, nel senso che non riesco a concepire il suonare senza dedicarmi anche all’improvvisazione e alla composizione, che considero due facce indissolubili della stessa medaglia. Detto questo, sicuramente ho più esperienza come concertista che come compositore, anche se negli ultimi anni mi sto dedicando sempre di più alla scrittura musicale. 

Non bastassero gli impegni gravosi derivanti dalla sua attività di compositore e strumentista lei è riuscito ad aggiungere  anche esperienze teatrali di pregio. Insomma, abbiamo di fronte un artista uno e trino…

Per carità, uno e trino forse ci sarebbe giusto un certo “signore”, ma io nemmeno ci credo! A parte gli scherzi, metto subito le mani avanti e ci tengo a precisare che sono innanzitutto un musicista, in questo ambito ho compiuto i miei studi e  ho le mie competenze e che invece non sono un attore di formazione accademica, anzi, le mie esperienze teatrali sono frutto di formazioni non regolari e per lo più anti-accademiche. Dopo un primo corso sullo studio del personaggio secondo il metodo di Strasberg, ho seguito delle formazioni intensive, nell’ambito di progetti finanziati dall’UE e non sul Teatro dell’Oppresso e mi sono dedicato per un po’ di anni  a questa metodologia teatrale, fondata dal regista e drammaturgo brasiliano Augusto Boàl negli anni ’60 del secolo scorso. Nel TdO, spesso, più che un risultato artistico in sé, si ricerca in primis un’aderenza alla realtà che permetta di raggiungere il vero obiettivo di questa metodologia, cioè  coinvolgere il pubblico in un’azione scenica interattiva dove gli spettatori vengono chiamati a prendere posizione su problematiche sociali che vivono in prima persona (Boàl diceva che gli spettatori nel Teatro Forum devono trasformarsi in spett-attori). La scoperta del TdO, avvenuta quasi per caso, mi ha subito appassionato, perché mi ha permesso di coniugare espressione artistica e interesse verso determinate problematiche sociali contemporanee. Dopo essermi formato su queste tecniche teatrali, ho fondato insieme ad altri il Collettivo teatrale “Il Teatro Invisibile” (proprio in omaggio a una delle tecniche ideate da Boàl), con il quale ho realizzato diversi spettacoli, soprattutto di Teatro Forum, sia in teatri che in spazi non convenzionali. Con lo stesso gruppo, durante il lockdown, ci siamo inventati e abbiamo realizzato (questo credo sia una particolarità da sottolineare) due spettacoli di Teatro Forum online, ideati e allestiti completamente a distanza, ognuno nelle proprie abitazioni, realizzate e proposte in modalità online al pubblico, che interagiva con noi attraverso la piattaforma zoom. Le due opere in questione, rispettivamente “L’interferenza” e “Siamo tutti lupi cattivi”, affrontavano il primo le tematiche che molti di noi hanno vissuto in prima persona, durante il Lockdown pandemico, della didattica a distanza e dello smart working, l’altro il delicato tema del revenge por e delle sue implicazioni in ambito lavorativo e, più in generale, della morale, ispirandoci a un noto fatto di cronaca.  Se da un lato dichiaro di non avere una formazione teatrale accademica completa, dall’altro ho avuto la fortuna di condividere il percorso con Il Teatro Invisibile (momentaneamente in pausa) con attori professionisti dai quali ho imparato molto. Inoltre negli anni ho collaborato, come autore delle musiche e esecutore dal vivo in scena, con diversi attori e registi. 

L’Arte, meglio dire la Poli-Arte assorbe gran parte del suo tempo. Riesce a ritagliare degli spazi per se stesso?

Ci sono dei periodi, come questo in cui sto preparando uno spettacolo tutto nuovo, scritto per me da Antonio Mocciola, Tungsteno, che sarà in cartellone dall’1 al 3 novembre al Centro Culturale Artemia di Roma, in cui effettivamente il tempo è poco in generale. Cerco sempre di ritagliarmi del tempo per me stesso. Ma poi penso che, in fondo, quando ho un po’ di tempo per dedicarmi alla musica sono felice perché ho del tempo da dedicare a me stesso. La musica è una sorta di dialogo continuo con noi stessi, oltre che con il pubblico quando suoniamo dal vivo.