Antonella Guida: “Battere l’epatite C”
1 Giugno 2019Nella programmazione sanitaria campana, l’obiettivo da conseguire è quello di una vittoria completa su di una patologia che, in certe aree ha carattere endemico.
Il percorso diagnostico terapeutico assistenziale quale strumento di governo clinico: appropriatezza terapeutica e obiettivi misurabili, in una logica di sostenibilità del sistema. Questo il sottotitolo dell’incontro promosso, ieri l’altro, dalla Regione Campania sull’infezione da Hcv. Ne abbiamo discusso con il dirigente di staff, supporto tecnico operativo della Direzione generale tutela salute regionale, dottoressa Antonella Guida.
La Regione Campania ha investito in modo mirato, anche in termini economici, sulle problematiche l’Hcv.
“L’Epatite C costituisce un problema di salute pubblica di primaria importanza in particolare in Campania, regione con una prevalenza e mortalità per cirrosi ed epatocarcinoma più elevata rispetto alla media nazionale. Affrontare in modo deciso il problema era doveroso e necessario. Anche perché, i nuovi inibitori diretti della replicazione virale di Hcv, hanno avviato una nuova era per il trattamento della patologia che apre alla possibilità sia dell’eradicazione dell’infezione sia della riduzione della morbilità e mortalità”.
Sul punto, anche pressanti inviti dell’organizzazione mondiale della sanità.
“Si. Fra gli obiettivi strategici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) c’è la cura e la gestione dell’Hcv e, entro il 2030, il raggiungimento del traguardo di riduzione del 90% nei nuovi casi di epatite C, del contenimento di almeno il 65% delle morti causate dalla malattia virale e del trattamento dell’80% dei pazienti con infezione”.
Qual è la ricetta per raggiungere questi ambiziosi obiettivi?
“Non esiste una ricetta unica. Esistono piuttosto una serie di percorsi di gestione della cura, partendo dalla standardizzazione dei processi, isolando la variabilità, dividendo i casi ad alta e bassa complessità, riorganizzando ed allocando le risorse seguendo una logica di processo e, non ultimo, imparando dalla pratica quotidiana perché ne benefici, complessivamente, tutta l’organizzazione.
In quest’ottica, il rifarsi al modello riorganizzativo dei Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali rappresenta un indiscutibile vantaggio, perché consente di rappresentano la possibilità di contestualizzare le linee guida, relative ad una patologia o problematica clinica, nella specifica realtà organizzativa di un’azienda sanitaria, tenute presenti le risorse disponibili”.
Vuole chiarire questo aspetto?
Si tratta di modelli locali che, sulla base delle migliori evidenze scientifiche ed in relazione alle risorse disponibili, consentono un’analisi degli scostamenti tra la situazione attesa e quella osservata in funzione del miglioramento. In altre parole, sono strumenti che permettono di delineare, rispetto ad una patologia o un problema clinico, il miglior percorso praticabile all’interno della propria organizzazione. La loro adozione permette ai partecipanti di essere più consapevoli del processo di assistenza complessivo e di interagire in modo più sistematico.
Inoltre, rendono omogenea l’attività diagnostica e terapeutica per rispondere ai bisogni di salute di pazienti con determinate patologie, favoriscono l’efficacia degli interventi e l’efficienza dei servizi, rendendo più «trasparenti» e accessibili i percorsi assistenziali.