Antonio Pascotto, “Il Mondo senza Internet”
11 Ottobre 2022Antonio Pascotto è un giornalista di lungo corso. Caporedattore dei telegiornali Mediaset, si è sempre occupato di politica ed esteri. È autore di vari libri, tra cui L’informazione connessa. Giornalismo, tecnologia e valore di mercato e Il Mondo senza Internet. Connessioni e ossessioni. Dallo scandalo Facebook alla quiete digitale.
Hai scritto un libro immaginando un mondo senza Internet. Riusciresti a vivere senza collegamenti alla Rete, sconnesso e senza telefonino?
Assolutamente no. Ho scritto questo libro perché a un certo punto della mia vita mi sono reso conto di utilizzare per troppe ore al giorno tutti i dispositivi collegati alla Rete, dallo smartphone ai pc. Anche con il tablet non scherzo. Certo, per la mia professione è un obbligo, ma credo anche che occorra, a volte, prendersi un po’ di tempo e riscoprire le bellezze della vita mettendo da parte tutti i dispositivi digitali che sono entrati prepotentemente nelle nostre vite.
Considerando che saremo sempre di più connessi in un mondo dove reale e virtuale si mescolano, allora vale ancora di più questa considerazione. Proviamo ad andare una giornata al mare, senza occuparci del telefonino. Lo mettiamo da parte, per le emergenze. E ci godiamo quelle ore che abbiamo a disposizione rilassandoci con gli amici o con i nostri cari. Uno sguardo verso l’orizzonte, ammirando il paesaggio, senza lasciarci tentare dalla voglia di scattare un selfie. Tutto quello che ci circonda dovrà essere archiviato nella memoria del nostro cervello, e non in quella di uno smartphone o di un pc. Ecco, quello intendevo comunicare con Il Mondo senza Internet.
In un altro libro, L’informazione connessa, hai parlato del futuro del giornalismo. Sulla comunicazione di gran parte delle nazioni pesa come un macigno la censura della politica. Anche nei paesi occidentali larga parte dei lettori è attanagliata dal dubbio. Una bella responsabilità per chi di mestiere fa il giornalista.
Si, una responsabilità che però fa parte del mestiere. Prima di cominciare a scrivere o a girare un servizio per un canale televisivo questo lo sai bene. Il giornalista deve fare i conti con la politica e con le varie censure che, in un modo o nell’altro, cercano di imporre una certa linea o, come accade in alcuni paesi, una censura vera e propria. E in questo caso la situazione è molto grave. Basta guardare a cosa sta accadendo in questi mesi con la guerra in Ucraina. Abbiamo a che fare con la propaganda, con un certo tipo di regime. Non è facile, e devi utilizzare tutta la professionalità acquisita con l’esperienza per fare in modo che all’utente finale arrivino le notizie nella maniera più corretta possibile.
Nell’era della comunicazione globale tutto sta diventando terribilmente complicato. Tu hai citato la guerra in Ucraina, dove le informazioni diventano di segno opposto, a seconda della provenienza: nell’utente finale cresce sempre di più il dubbio sulla bontà delle notizie che riceve.
Si, i dubbi sono tanti, anche per chi deve informare. E allora occorre, per i giornalisti, registrare scrupolosamente tutto ciò che accade e tutto quello che arriva dalle varie fonti per poi fare il punto. Il giornalista è un mediatore, lo è sempre stato. Il giornalista è colui che acquisisce un’informazione, una notizia, e cerca di trasmetterla agli altri utilizzando il proprio bagaglio di esperienze per renderla fruibile. Al lettore o al telespettatore il compito di capire chi meglio di altri può fornire quella informazione nella maniera più corretta. Faccio un esempio: rimanendo sul tema della guerra, il cronista inviato sul campo per una testata giornalista ufficiale è certamente affidabile. Bisogna invece fare più attenzione alle notizie che arrivano dai vari social come Telegram, che pure, a seconda dei casi, sono utilissimi. Ma possono essere utilizzati da tutti, anche dalla propaganda o da chi vuole creare confusione. E questo rende tutto più complicato.
Non solo in merito alle guerre che si combattono nel mondo ma anche su altri filoni comunicativi si ricevono spesso notizie contrastanti. Anche qui la confusione regna sovrana. Come se ne esce?
Sempre nello stesso modo. Ti devi innanzitutto fidare dei canali ufficiali. Di chi fa informazione per mestiere, e quindi segue determinati criteri. Con la moltiplicazione dei canali distributivi il ruolo dei media come agenti di socializzazione si è amplificato. Alla comunicazione tradizionale di tipo verticale e unidirezionale, da uno a molti, si è aggiunta quella che coinvolge tutti i soggetti di un processo che ridefinisce continuamente la sua dinamica.
L’accesso alla produzione di contenuti mediatici non è più solamente legato alla disponibilità degli spazi messi a disposizione dai canali già esistenti o dalle istituzioni pubbliche. Ogni giorno nascono nuovi progetti, crescono in questo senso anche i social network e i siti che distribuiscono notizie, tra agenzie, magazine, portali, generici o che si occupano di uno specifico argomento. E i cittadini avvertono sempre di più l’esigenza di conoscere, capire quello che succede nel mondo, vivere le esperienze, ma anche di segnalare loro stessi i fatti. Accade con i social. Nel caso di un avvenimento, una catastrofe, una guerra, troviamo su internet i video girati direttamente da quello che definiamo pubblico che diventa al tempo stesso produttore di contenuti. La voglia d’informazione è insita nelle persone. L’uomo viene descritto da Aristotele come un animale sociale, alla ricerca di altri individui con cui costituire la società. Il bisogno di comunicare è antropologico. L’uomo non è fatto per vivere da solo, e per comunicare deve raccogliere informazioni e stabilire una rete di rapporti con altri individui, deve interagire, socializzare. Da questo punto di vista la tecnologia velocizza un processo al centro del quale rimane il sapere, la conoscenza, l’informazione.
Nelle relazioni sociali sono intervenuti nuovi fattori che svincolano le comunità dalle appartenenze territoriali, dalla contiguità fisica. Oggi si condividono gli interessi comuni, il sapere collettivo. L’esperienza sociale dell’individuo si deve confrontare con l’ambiente circostante. Si tessono rapporti e si acquisiscono linguaggi a seconda dei diversi gruppi di appartenenza.
In questo ecosistema deve prevalere però la distinzione tra chi comunica per l’esigenza naturale di questa partecipazione in rete e quella di chi per professione deve informare il cittadino, e lo deve fare consapevole dei cambiamenti in corso.
Il comunicatore di professione dovrebbe puntare a tenere la barra dritta ma anche per lui la situazione non è semplice. Come si fa a convincere che l’informazione data da tizio è più attendibile di quella fornita da sempronio? Purtroppo non sempre la verità dei fatti è sufficiente a garantire la verità della notizia.
È vero, ma il suo compito è appunto quello di rendersi affidabile attraverso il lavoro. Se vai da un meccanico e dopo aver speso una cifra anche considerevole l’auto continua a non andare bene significa che il meccanico non ha lavorato bene o non è capace. Vale per altri lavori e anche per la professione giornalistica. Piuttosto introdurrei un altro problema, quello legato al valore di mercato di una testata giornalistica. Oggi l’offerta, tra giornali, televisioni, portali web, social e tanto altro è numerosa.
Molti settori dell’industria dell’informazione, con l’avvento di internet, hanno dovuto modificare assetti e programmi, politiche produttive, strategie di mercato. Molte aziende hanno dovuto trasformare in parte la loro attività, altre sono nate proprio cavalcando l’onda del web.
Superata la fase di grande confusione, quando sembrava che il progresso digitale e internet dovessero provocare un cataclisma tale da sovvertire tutte le regole, con la fine dell’economia della scarsità a vantaggio di imprese che, almeno nell’immaginario, dovevano produrre valore economico in tempi rapidissimi, le cose sono cambiate.
Non era possibile trasformare in oro tutto quello che veniva proposto in rete. Le idee, da sole, non reggevano. Occorreva metterle in pratica. Offrire prodotti e servizi gratis non bastava a creare valore. Gli inserzionisti pubblicitari ancora non si fidavano. E comunque il business di internet non poteva basarsi solo con la pubblicità, come era avvenuto per la televisione commerciale.
Dopo la gran mole di lavoro gratuito che ha caratterizzato in questi ultimi anni il web, a vantaggio solo di alcuni gruppi, prende piede un nuovo orientamento che coinvolge in particolare il campo dell’informazione. Oggi si lamenta una crisi del sistema per la paura di perdere un pubblico abituato a ottenere tutto subito e gratis. Ma i conti non tornano, e inevitabilmente tutte le aziende dovranno prima o poi trovare il giusto equilibrio tra le proposte offerte e il bilancio aziendale.
È un processo in corso. La ripresa parte dai media digitali, da internet, dall’iPad, dagli altri tablet e da tutti i dispositivi mobili, compresso naturalmente il cellulare. Una battaglia a colpi di piattaforme e di formati.
Non devono mancare gli spazi da condividere con il pubblico, che può anche essere delegato a coprire alcuni eventi, nel segno della collaborazione e dello scambio, di quella produzione sociale che caratterizza il web e che sta cambiando il volto dell’informazione. E in questo panorama non bisogna dimenticare i contenuti. Cambiano i media, si trasformano, si moltiplicano le piattaforme, ma quello che chiedono i lettori o gli spettatori sono sempre le notizie.
Un po’ di tempo fa, il vescovo di Caserta ora a riposo, Raffaele Nogaro, auspicò che i giornalisti fossero “sacerdoti della notizia”. Un’impresa ardua per chi è chiamato a fare comunicazione in questi anni terribili stretti tra pandemia e guerra.
Metafore e paragoni sono utili per arrivare dritti al punto, sono affascinanti a volte, come le parole del vescovo. Ma volendo distinguere tra sacro e profano, oserei dire che quando nasci con la passione per questo lavoro questo lo sai in partenza. Un giornalista è pronto a qualsiasi sacrificio, è capace di lavorare ore e ore ininterrottamente, senza alcuna pausa, per soddisfare il suo pubblico e onorare il suo lavoro. Pensa ai cronisti di guerra, appunto, che mettono a rischio la propria vita nel segno della corretta informazione. Si, è vero, a volte devi lottare e devi fare il possibile per evitare di eccedere nei compromessi, che pure sono inevitabili. Ma quando vedi il tuo “pezzo” stampato sulla carta o in evidenza sul web o il tuo servizio andare in onda nel telegiornale, allora ti rendi conto che tutti i tuoi sforzi sono serviti a qualcosa. E allora ti rimbocchi le maniche e riparti all’attacco. A caccia della notizia, ovviamente.