Attività venatoria non contemplata nei decreti anticovid

Attività venatoria non contemplata nei decreti anticovid

3 Novembre 2020 0 Di La Redazione

“Sospendere tutte le forme collettive con cui può essere espletata l’attività venatoria, attività ludico-ricreativa”.

 

“L’approvazione del DPCM 24 ottobre 2020 ha posto in evidenza l’urgenza, laddove fosse ancora necessario, di porre le massime attenzioni, prevenzioni e raccomandazioni, alle modalità di svolgimento di ciascuna attività, lavorativa e ricreativa, valutando e bilanciando divieti e autorizzazioni per non mettere ulteriormente in pericolo il primario diritto alla salute previsto dall’articolo 32 della Costituzione e il futuro stesso del Paese”. Così in una nota le associazioni ambientaliste di Legambiente onlus, Lipu onlus e Wwf Italia onlus

“A tal fine sono state compiute al livello nazionale scelte dolorosissime per attività lavorative e commerciali di ogni genere, culturali e ricreative, fino al ripristino dell’obbligo della didattica a distanza per il 75% dei giovani delle Scuole medie superiori, giovanissimi che più di ogni altra fascia d’età soffrono per la rinuncia allo sviluppo di relazioni sociali.

Orbene in questo drammatico contesto non sono state invece introdotte misure mirate a prevenire la diffusione del contagio durante lo svolgimento di un’attività meramente ludico-sportiva qual è l’attività venatoria. Si tratta di un’attività praticata da una popolazione costituita da circa 500.000 cittadini, oltre l’80% dei quali ha più di 50 anni di età e ben il 30% sono ultrasettantenni. La maggior parte di costoro rientra, quindi, nella fascia di popolazione più fragile ed esposta ad essere vittima del virus o a subirne gravi conseguenze, con maggiori rischi di ospedalizzazione e conseguente aggravio di tutto il sistema sanitario.

Va evidenziato, infatti, che l’insieme del numero dei titolari di concessione di licenza di caccia, nell’ordine di decine di migliaia di persone in ciascuna regione, la loro ampia mobilità tra province e regioni e il fatto che tale attività sia svolta in larghissima misura in forme collettive, come la caccia in braccata e la caccia al capanno, che portano in queste settimane all’assembramento di decine di migliaia di persone, sono tali da essere potenzialmente molto pericolose. Basti descrivere succintamente, per valutare il rischio di diffusione del contagio, l’attività di caccia da appostamento fisso, che viene svolta in capanni chiusi dotati solo di piccole feritoie da cui i cacciatori sparano agli uccelli migratori. Generalmente la dimensione è di pochi metri quadrati. In tali ambienti, privi di un efficace ricambio di aria, più cacciatori permangono insieme per numerose ore, talvolta insieme ad accompagnatori privi di licenza di caccia e, come più volte rilevato dal nostro personale di vigilanza volontaria, spesso senza indossare gli obbligatori dispositivi di protezione individuale. Riteniamo altresì importante – continua la denuncia delle Associazioni ambientaliste – sottolineare che la caccia, attività ludico-sportiva, non può né deve essere confusa con le esigenze di gestione della fauna, patrimonio indisponibile dello Stato, o dei danni alle attività antropiche ad esso correlati, in quanto la vigente legislazione nazionale assegna espressamente e opportunamente, con l’articolo 19 della Legge 157 del 92, esclusivamente alla diretta responsabilità delle Regioni e degli Enti gestori delle aree protette tali funzioni, da svolgere, laddove necessario, tramite l’appropriata redazione, approvazione e realizzazione di specifici piani di controllo faunistico”.

Quindi la proposta della associazioni che chiedono “di sospendere tutte le forme collettive con cui può essere espletata l’attività venatoria, attività ludico-ricreativa”.