Battere il batterio
12 Novembre 2019Sembra accertata l’importanza del trapianto di microbiota intestinale nel clostridium difficile. Lo rivela un recente studio condotto in Italia al Policlinico Gemelli.
Buone notizie per i sistemi sanitari e per la cura dell’infezione da Clostridium difficile, patologia che negli ultimi anni sta diventando epidemica soprattutto per l’eccessivo uso di antibiotici. Sono stati recentemente pubblicati, sull’ importante rivista “Annals of Internal Medicine”, i risultati di un importante e significativo studio sul trapianto di microbiota da paziente sano (Fmt) per affrontare il Clostridium difficile.
Lo studio, svolto da un gruppo di ricerca della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Ircc e l’Università Cattolica, guidato dal professor Antonio Gasbarrini , Direttore Area Medicina Interna, Gastroenterologia e Oncologia Medica del Cemad di Roma. Il Clostridium difficile è un batterio che risiede in forma latente nell’intestino di portatori sani (30% della popolazione), riattivandosi e sviluppando l’infezione solo quando il microbiota del soggetto viene debilitato a causa di ripetute terapie antibiotiche.
Questo processo, che vede coinvolti principalmente pazienti anziani e debilitati, provoca un enorme impatto sui costi sanitari a causa delle frequenti ospedalizzazioni, soprattutto nei casi più severi. Il trapianto di microbiota, come affermato dal professor Gasbarrini, ha cambiato la storia naturale di questa malattia ed i risultati di questo studio attestano in maniera definitiva l’efficacia di questa terapia.
La ricerca, prospettica osservazionale, ha coinvolto 290 pazienti ricoverati per Clostridium difficile, 181 sono stati trattati con antibiotici e 109 con trapianto da microbiota. Tre i risultati che sono emersi dall’analisi dei dati: i pazienti trattati con Fmt hanno avuto un rischio di sepsi di circa quattro volte inferiore rispetto a quelli sottoposti a terapia antibiotica; la degenza media è risultata meno della metà rispetto a quelli da trattamenti classici (13 giorni rispetto a 30 giorni); infine il dato più significativo riguarda il tasso di sopravvivenza, che risulta essere di un terzo maggiore rispetto ai trattamenti tradizionali (92% contro 61%).
Questo indica, secondo gli autori della ricerca che se la rigenerazione del microbiota tramite Fmt riesce a riequilibrare il microambiente intestinale e a ripristinare la regolazione del metabolismo e le funzioni immunitarie, migliorando la qualità della vita dei pazienti e incidendo notevolmente sulla riduzione delle ospedalizzazioni e dei costi, diventa necessario sollecitare l’adozione di tale metodica in ogni struttura sanitaria.