Ciro Zoratti: organizzazione, sacrifici e determinazione aprono tutte le porte
7 Agosto 2024Plurilaureato in materie giuridiche ed una bella carriera come bancario ma Ciro Zoratti abbandona tutto per dedicarsi alla vera passione della sua vita: lo Sport. E nello Sport vive intense esperienze da atleta, dirigente sportivo ed in special modo come allenatore. Il Volley il suo sport del cuore nel quale ha dato il meglio di sé in Italia ed all’estero .
La passione aiuta ma certo non sarà stato semplice coniugare gli impegni sportivi con quelli dello studio universitario.
No, non è stato semplice. Ma se c’è una cosa che ho imparato nella mia carriera universitaria, sportiva e lavorativa è che con organizzazione, sacrifici, determinazione e qualche rinuncia, si può tranquillamente conciliare studio, sport e lavoro. Dirò di più: nelle squadre che ho allenato, in genere, erano proprio le giocatrici con maggiori impegni o con percorsi scolastici più impegnativi ad eccellere rispetto alle altre. Probabilmente perché il fatto di dover necessariamente ottimizzare tempi e risorse funge da catalizzatore di energie. Certo, come ho detto prima, non si può avere tutto, qualche rinuncia è inevitabile, ma la soddisfazione nel portare a termine i propri impegni e nel raggiungere i propri obiettivi ripaga ampiamente le rinunce fatte. Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare dal modello americano, dove l’immagine dello “student athlete” non solo è molto diffusa, ma è anzi incentivata dal sistema e promossa dai programmi di studio. Essere ottimi sportivi e bravi studenti per loro non è un’eccezione, ma la normalità.
Il “sogno americano” per lei è diventato realtà. Come si è trovato a fare pratica sportiva in una nazione evoluta come gli U.S.A.?
Nel mio caso si può parlare davvero di “sogno americano”: fin da bambino, ho sempre desiderato vivere negli Stati Uniti, l’ho desiderato, l’ho cercato, l’ho inseguito e l’ho raggiunto. Ricordo che nei primi mesi di vita in Florida, quando i miei amici italiani mi chiedevano come stesse andando, rispondevo sempre allo stesso modo: “Sto vivendo dentro un film!”. Dal punto di vista sportivo, una delle cose che mi ha colpito di più è stata senza dubbio la qualità delle strutture sportive: palestre e palazzetti enormi, tenuti con ordine e pulizia maniacali, dotati delle più avanzate tecnologie, e questo non solo nei college, ma anche nelle piccole Middle e High School. L’esperienza a Miami mi ha arricchito sotto mille punti di vista: ho migliorato la lingua, ho imparato a conoscere i loro usi e costumi, mi sono confrontato (e a volte scontrato) con la loro cultura, ho visto tante cose da prospettive diverse. Per l’amor del cielo, non è tutto oro quello che luccica e anche oltreoceano ci sono alcune criticità, ma in generale ho avuto l’impressione che là funzioni sempre tutto alla perfezione e che le istituzioni cerchino di semplificare la vita dei cittadini. Mi piacerebbe tornare negli Stati Uniti, chissà che non accada, prima o poi.
L’impegno nello Sport richiede anche uno stile di vita salutista. In poche battute ci racconta quali sono i suoi accorgimenti per mantenersi in forma?
È molto semplice: non fumo, non bevo alcolici, non assumo sostanze stupefacenti. E la cosa più bella è che non lo vivo affatto come una privazione, anzi, non mi pesa affatto e, al contrario, mi rende orgoglioso. Per me si tratta di due aspetti ben distinti ed equamente importanti: il primo, è il rispetto per sé stessi e per il proprio corpo, lo faccio perché mi voglio bene; il secondo, è la volontà di rappresentare un modello positivo per le giocatrici che alleno e per i genitori che mi affidano le loro figlie. E poi faccio sport, di qualsiasi tipo: corsa, calcio, tennis, sci, padel e altro ancora. D’altra parte, come potrebbe essere diversamente per una persona che ha scelto di dedicare la propria vita allo sport? Infine, cerco di stare attento a quello che mangio. Per carità, anche io mi concedo qualche capriccio a tavola, sia chiaro, non voglio passare per quello che mangia solo insalata e petto di pollo. Però diciamo che cerco di mantenere un minimo di regolarità.
Allenare una squadra comporta grandi responsabilità ed impegno. Va curato, insieme all’aspetto fisico anche quello psicologico degli atleti. Per questo secondo aspetto si fa aiutare o fa tutto da solo?
Ho studiato molto, davvero tanto. Grazie al podcast che gestisco insieme all’amico e collega François Salvagni (Coach Factor) ho avuto modo di intervistare i più importanti psicologi dello sport e i più quotati mental coach italiani. Ho letto decine e decine di libri, relativi a svariati argomenti ricollegabili a questo tema: dalla comunicazione efficace alla programmazione neuro-linguistica, dall’esercizio della leadership all’auto-aiuto, dalla gestione del gruppo squadra alla consapevolezza di sé stessi. Il libro che mi ha cambiato (spero in meglio) come allenatore? “How to win friends and influence people” di Dale Carnegie. Ad ogni modo sono convinto che gli aspetti psicologici e mentali degli atleti non vadano affatto sottovalutati, al contrario. Anche perché mente e corpo si influenzano a vicenda, questo è fuor di dubbio.
Allenare squadre femminili è stato frutto di casualità o di una scelta ben precisa?
È stata una scelta ponderata dopo aver allenato, casualmente, entrambi i generi. Non escludo, in futuro, di allenare nuovamente nel maschile, ma in questo momento sono certo di voler allenare solo nel femminile. Quando mi chiedono del perché abbia questa preferenza, faccio fatica a dare una risposta precisa, però penso che dipenda dalla diversa percezione del proprio allenatore che hanno i giocatori rispetto al proprio coach. Per le donne, almeno nella mia esperienza, l’allenatore non è solo colui che insegna le tecniche e le tattiche, non è solo colui che prepara la squadra alle partite; è un punto di riferimento, è un punto d’appoggio nei momenti di debolezza, è la persona con cui sfogarsi nei momenti di frustrazione, è chi si aspettano che le protegga dagli attacchi esterni. Se dovessi riassumere tutto questo in una frase, direi che allenare nel femminile mi fa sentire di poter avere un impatto positivo sulle persone.