Colesterolo non-Hdl e rischio cardiovascolare
2 Gennaio 2020La ricerca, condotta in Germania, ha preso in considerazione circa 400mila persone provenienti da diciannove Paesi e ha fatto emergere risultati utili ai fini della prevenzione.
Malattie cardiocircolatorie e colesterolo. Secondo i risultati di uno studio appena pubblicato su The Lancet, primo autore Fabian Brunner del dipartimento di Cardiologia all’University Heart & Vascular Center di Amburgo, le concentrazioni nel sangue di colesterolo non-Hdl si associano in modo significativo al rischio a lungo termine di eventi cardiovascolari.
«L’importanza delle concentrazioni di lipidi nel sangue e della terapia ipolipemizzante nella prognosi a lungo termine delle malattie cardiovascolari non è del tutto chiara» scrivono i ricercatori, che per meglio valutarla hanno messo a punto un semplice strumento in grado di stimare con buona approssimazione le probabilità di sviluppare una malattia cardiovascolare all’età di 75 anni. «L’algoritmo, utilizzando l’età, il genere e i fattori di rischio di ogni paziente, calcola la riduzione del rischio cardiovascolare ipotizzando una diminuzione del 50% dei valori di colesterolo non-Hdl» spiega il ricercatore.
Per metterlo a punto gli autori hanno utilizzato i dati provenienti da 19 paesi riguardanti 398.846 persone. Dell’intera popolazione oggetto di studio, 199.415 soggetti sono stati inclusi nella coorte di derivazione e 199.431 in quella di validazione. «Durante un follow-up massimo di 43,6 anni si sono verificati 54.542 eventi cardiovascolari» scrivono i ricercatori, che usando la curva di incidenza hanno scoperto che l’aumento delle categorie di colesterolo non-Hdl si associa a percentuali di eventi cardiovascolari progressivamente più alte a partire dai 30 anni di età. Ma non solo: anche i risultati dell’analisi multivariata indicano una correlazione significativa tra concentrazione di colesterolo non-Hdl e malattie cardiovascolari. «I livelli di colesterolo non Hdl nel sangue sono fortemente associati al rischio a lungo termine di malattie cardiovascolari aterosclerotiche – conclude Brunner – e questi dati, pertanto, potrebbero essere utili per la comunicazione medico-paziente sulle strategie di prevenzione primaria».