Con l’elettrostimolazione cerebrale si guarisce dal Parkinson?
27 Dicembre 2018Un recente articolo pubblicato su di un noto quotidiano dava la Dbs come cura risolutiva per i pazienti affetti da morbo di Parkinson. Purtroppo le cose non stanno esattamente come prospettate.
Quando si legge un articolo come quello riportato su “il Giornale” a proposito della stimolazione cerebrale profonda come terapia della Malattia di Parkinson si rimane piacevolmente sorpresi, soddisfatti degli enormi passi avanti fatti dalla Medicina anche in questo campo.
Da addetto ai lavori (sono specialista neurologo da quaranta anni) devo però rimettere tutti con i piedi per terra e smorzare gli entusiasmi fuori posto ingenerati da un articolo in qualche modo fuorviante per i suoi toni trionfalistici.
Cominciamo subito col dire che la stimolazione cerebrale profonda (DBS) è una terapia sintomatica, quindi non guarisce dalla malattia che procede e si aggrava comunque nel tempo. Con un meccanismo ancora sconosciuto gli elettrodi intracerebrali determinano un miglioramento della qualità di vita agendo sugli stessi sintomi combattuti dalla terapia farmacologica che può essere prescritta, magari a posologia ridotta, in combinazione con la DBS, (non è vero quindi che la stimolazione cerebrale”spazza via la farmacoterapia convenzionale”). Il miglioramento medio dei sintomi motori varia tra il 50% ed il 70% con fino a 5,1 ore aggiuntive di periodi “on” al giorno rispetto alla sola terapia farmacologica,
I rischi dell’intervento neurochirurgico di applicazione degli elettrodi vengono minimizzati (“una sciocchezza”) ma è una pratica chirurgica che può esporre il pazienta a seri problemi come emorragia cerebrale a cavallo dell’intervento e, successivamente ad infezioni endocraniche che non sono affatto sciocchezze, anzi. L’articolo ci descrive una paziente che ha sviluppato uno stato euforico post intervento, la letteratura scientifica, al contrario, ci informa che in questa fase sono possibili reazioni depressive e persino rischio suicidario, inoltre sono riportati anche casi di lieve calo cognitivo.
Alla luce di quanto appena illustrato appare evidente che la decisione se propendere per questo approccio terapeutico in aggiunta o in sostituzione alla farmacoterapia convenzionale non va presa con leggerezza ma deve essere collegiale ed investire il neurologo, il neurochirurgo, il neuropsicologo che sono coinvolti prima e dopo l’intervento. Equipe come questa, ne sono certo, sconsigliano fermamente quasi tutti i pazienti operati a fare un viaggio in Indonesia da soli così come descritto dal giulivo articolo de Il Giornale.
P.S. Al lettore medio siamo sicuri che interessi la marca dello stimolatore e dell’elettrocatetere?
*neurologo, già direttore struttura complessa neurologia Azienda ospedaliera Caserta