Conservazione della cartella clinica
21 Aprile 2019La Suprema Corte di Cassazione (sentenza numero 18567 del 13 luglio 2018) ha statuito che la responsabilità per la custodia della cartella clinica è in capo alla struttura.
La Corte ha sancito che se il medico deve ritenersi responsabile della compilazione della cartella clinica e della sua conservazione durante tutto il decorso operatorio del paziente, lo stesso non può dirsi dal momento in cui consegna la cartella clinica all’archivio centrale della struttura sanitaria.
A partire da questo momento l’obbligo di conservazione della cartella clinica si trasferisce in capo alla struttura che ha il dovere di conservarla in luoghi appropriati e non accessibili ad estranei. Tale obbligo è illimitato nel tempo trattandosi di un atto ufficiale. Ne deriva che, secondo il principio di vicinanza della prova, spetta alla struttura e non al medico l’onere di provare che lo smarrimento sia incolpevole. Ed, infatti, essendo la prestazione di custodia posta a carico della Struttura, in caso di smarrimento, grava su quest’ultima la prova che l’inadempimento non sia dovuto a negligenza o dolo.
La Corte ha, poi, osservato come in questi casi i medici si trovino in una posizione simmetrica ed analoga a quella del paziente, rischiando a loro volta di essere pregiudicati dalla impossibilità di documentare le attività svolte ed annotate sulla cartella clinica.
I Supremi Giudici spiegano nel dettaglio che ai sensi del Dpr 128 del 1969, articolo 7, il medico esaurisce il proprio obbligo di provvedere oltre che alla compilazione, alla conservazione della cartella, nel momento in cui la consegna all’archivio centrale, momento a partire dal quale la responsabilità per omessa conservazione si trasferisce in capo alla struttura e, quindi, alla Direzione Sanitaria di essa che, a sua volta, deve conservarla in luoghi appropriati non soggetti ad alterazioni climatiche e non accessibili da estranei. Pertanto, dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente ad essa e la violazione dell’obbligo non potrà riverberarsi direttamente sul medico determinando un’inversione dell’onere probatorio.
La Corte ha, poi, aggiunto un altro aspetto interessante ovvero che i medici, in caso di smarrimento della cartella clinica, potrebbero trovarsi in una posizione simmetrica a quella del paziente, rischiando a loro volta di essere pregiudicati dalla impossibilità di documentare le attività svolte e regolarmente annotate sulla cartella clinica.