Coronavirus, la parola a Giulio Tarro
18 Luglio 2020Il noto virologo napoletano in una lunga ed articolata intervista fa una disamina attenta della situazione pandemica e fa chiarezza di tanti luoghi comuni che servono solo ad ingenerare confusione.
Circa 14 milioni di contagiati nel mondo e 593mila decessi danno la cifra di una pandemia che sta gettando in apprensione gente comune e mondo scientifico. Secondo lei si tratta di un allarme giustificato?
“Sono dati in linea con un ciclo epidemico-pandemico. Il virus sta mutando e con le alte temperature perde virulenza. Potrebbe sparire completamente come la prima Sars, ricomparire come la Mers, ma in maniera localizzata o cosa più probabile diventare stagionale come l’aviaria. Ciò detto e mi ripeto, deve essere chiara una cosa: “il Covid19 o si adatta o è destinato a morire”. I virus si adattano al mondo e noi ci adattiamo ai virus. La paura e l’ansia continua e costante possono diventare ben più pericolose del Virus stesso”.
Diversi focolai di infezione si sono riaccesi un po’ in tutto il Paese, quasi tutti riconducibili a casi importati dall’estero, com’è avvenuto a Mondragone e a San Nicola la Strada in Campania oppure in Veneto dove il virus proveniente dalla Serbia parrebbe addirittura più contagioso. Ha senso chiudere le frontiere per arginare il fenomeno?
“Che il virus abbia più varianti, lo dico dall’inizio, è il punto da cui partire per prendere una decisione in tal senso. Bisognerebbe condurre studi approfonditi sui singoli ceppi. Potrebbe e non potrebbe avere senso chiudere. Sicuramente a marzo in Lombardia è scoppiata una bomba atomica, tutto in un lasso di tempo troppo breve a fronte della capacità del Sistema sanitario. L’Italia ha chiuso i voli diretti con la Cina, senza controllare gli arrivi indiretti attraverso gli scali e quindi è stato possibile aggirare il divieto. È stato uno sbaglio che ci è costato molto. Si potrebbe pensare di chiudere con i Paesi maggiormente colpiti, come si sta facendo… e i voli indiretti? Il problema non lo risolvi con le chiusure. L’Europa dovrebbe agire unita in questo senso. In Italia l’era Covid, a meno che non si importino nuovi ceppi dall’Estero, è finita”.
Se il virus muta così rapidamente (come è nel caso riferito della Serbia) perché ancora oggi una parte cospicua della comunità scientifica internazionale continua ad insistere sul vaccino mentre, pur presenti, restano in minoranza le voci di quanti sostengono la bontà terapeutica della plasmaferesi?
“Nell’affrontare le epidemie, o pandemie che dir si voglia, servono due cose: competenza e ordine, soprattutto nelle vaccinazioni. La soluzione non sarà il vaccino anche perché in questo momento non ce l’abbiamo. Per un vaccino efficace e privo di rischi ci vogliono almeno diciotto mesi e non è detto che in questo caso funzioni perché non esiste un solo Covid-19. Un virus può mutare in appena cinque giorni. Ripeto in soli cinque giorni. Siamo in presenza di un virus estremamente mutevole.
Abbiamo già a nostra disposizione gli anticorpi dei guariti che possiamo ricavare con la plasmaferesi, una tecnica di separazione del sangue che viene usata per diversi scopi. La cura con il plasma dei pazienti guariti da Covid-19 si sta sperimentando in tutto il mondo. È una terapia, dimostrata con lavori scientifici, che consiste in 200 ml di plasma – la parte più liquida del nostro sangue, dove sono presenti anticorpi formatisi dopo la battaglia vinta contro il Covid-19 – i quali in 48 ore azzerano il virus. Non sono notizie campate in aria, ma pubblicate su giornali scientifici. Prassi utilizzate in particolare dai cinesi che hanno avuto un’esperienza recentissima e che si usavano già nelle esperienze con la Mers e in altri Paesi, come Germania, Stati Uniti, Israele. In Italia si sono ottenuti e si stanno ottenendo dei risultati positivi, lì dove utilizzata.
Voglio ricordare che non ci troviamo di fronte a una terapia sperimentale da dover studiare o da concedere in via compassionevole. È una pratica conosciuta da secoli, utilizzata anche da Pasteur nell’Ottocento: si sono sempre prelevate le gammaglobuline dai guariti per curare i malati”.
Chi ha avuto il Coronavirus ed è guarito può perdere l’immunità alla malattia in pochi mesi: questa la poco rassicurante conclusione di uno studio condotto dal King’s College di Londra. Lei cosa ne pensa?
“A questo studio, sicuramente interessante ma che non dimostra nulla, ne va associato un altro che va nella direzione opposta e che secondo me e la mia esperienza è più credibile. Lo studio fatto a Singapore e pubblicato in pre-print su Biorxiv dimostra una cosa importante: coloro che hanno avuto la prima Sars e sono guariti, hanno sviluppato un’immunità cellulare tale da renderli immuni anche al Sars-Cov-2. Nello specifico: sono state studiate le cellule T e la loro risposta alle proteine strutturali (nucleocapside, NP) e non strutturali (accessorie NSP-7 e NSP-13 di ORF1) delle particelle virali di SARS-CoV-2 in 24 soggetti convalescenti da Covid-19. In tutti i convalescenti si è dimostrato che le cellule T CD4 e CD8 riconoscevano regioni multiple della proteina del nucleocapside (NP). 23 pazienti guariti dalla prima Sars, 17 anni dopo lo scoppio dell’epidemia, posseggono ancora la memoria delle cellule T, che perdura a lungo, nei riguardi delle proteine strutturali del nucleocapside (NP) e che dimostra una reazione crociata verso la NP dell’attuale Sars. Invece nei soggetti senza storia della primitiva Sars, nel 50% dei casi (9/18) posseggono cellule T che reagiscono con le proteine accessorie (non strutturali NPS-7 e NSP-13 di ORF1).
La caratterizzazione epitopica delle cellule T specifiche per NSP-7 hanno mostrato il riconoscimento dei frammenti proteici nei riguardi dei beta-coronavirus animali, ma molto ridotto per i coronavirus umani del raffreddore comune.
Pertanto, l’infezione con il beta-coronavirus indurrebbe, a differenza di quanto emerso nello studio da Lei citato, una forte e duratura immunità delle cellule T nei riguardi delle proteine strutturali NP. Questo perché i beta-coronavirus, categoria alla quale il Sars-Cov-2 appartiene, sono in grado di sviluppare un’immunità di tipo cellulare, addirittura più importante di quella derivante dalla produzione di Igg.
A ciò aggiungo una cosa surreale che ho notato in questi mesi: molti giornali hanno titolato di casi di recidiva. Questa sì che è una fake news. In accordo con quanto dichiarato da alcuni studiosi Sud Coreani, sostengo con convinzione, che non esistono casi di recidiva. I risultati dei test con PCR dei pazienti sospetti di recidiva, altro non sono che falsi positivi, dal momento che il test non è capace di distinguere tra tracce di virus vivente ed i campioni morti, che rimangono dopo la guarigione del paziente senza capacità di provocare lesioni”.
Sul tema Coronavirus c’è grande confusione sia fra la gente comune sia fra gli addetti ai lavori ma, intanto, continua ad essere agitato lo spettro di una seconda ondata che dovrebbe giungere in autunno. Una sua riflessione in merito.
“A mio avviso si sta dedicando un’attenzione eccessiva ad un virus, non più pericoloso di altri. A meno che il virus non muti ulteriormente e in maniera più severa, non ci sarà un’altra ondata. Sono sicuro che in Italia e in Europa ciò è difficile che possa succedere.
Dobbiamo staccare la spina ad una informazione ansiogena e ipocritamente intrisa di appelli a non farsi prendere dal panico. E questo, soprattutto, per permettere alle strutture sanitarie interventi mirati. Quali questi debbano essere non mi permetto qui di suggerirli in quanto, nonostante lo sfascio del Sistema sanitario nazionale, abbiamo ancora in Italia ottimi esperti. L’importante è che siano lasciati in grado di lavorare.
Oggi l’ansia di una intera popolazione si sta concentrando su come tenersi alla larga da questo maledetto virus. Nessuno o quasi riflette che noi, in ogni momento, siamo immersi in un ambiente saturo di innumerevoli virus, germi e altri agenti potenzialmente patogeni. E in questi giorni, quasi nessuno ci dice che se non ci ammaliamo è grazie al nostro sistema immunitario il quale può essere compromesso, – oltre che da una inadeguata alimentazione e da uno sbagliato stile di vita – dallo stress, che può nascere anche dall’attenzione verso le notizie sul Coronavirus regalataci da web e TV”.