Covid-19, cominciare la cura ai primi sintomi
14 Aprile 2020Sarebbe auspicabile, nell’ambito di una vantaggiosa gestione del paziente e della sanità regionale, disporre di una rete territoriale efficiente e capace di intercettare le positività.
I giochi in questa affezione, come del resto nella stragrande maggioranza delle infezioni virali, si compiono nelle prime 48/72 ore di malattia; durante tale periodo, alla comparsa dei primi sintomi, febbre, tosse, dolori articolari, segni congiuntivali etc., oltre ad effettuare un tampone naso-faringeo che dovrebbe fornire una risposta rapida ed attivare le corrette procedure di isolamento del contagiato e i suoi contatti, è opportuno iniziare precocemente la terapia con un antimalarico di vecchia conoscenza come l’idrossiclorochina, utilizzata con successo e correntemente dai reumatologi per le connettiviti, dotata di azione immunomodulante ed antivirale con aggiunta di azitromicina, antibiotico macrolide e farmaci antivirali già utilizzati per il trattamento del HIV.
All’anamnesi sarebbe opportuno per questi farmaci indagare su eventuali elettrocardiogrammi pregressi per verificare se vi è un allungamento del tratto QT.
In questo modo la maggioranza dei pazienti vira verso un andamento benigno e più favorevole della malattia con netta riduzione delle complicanze respiratorie e con netto miglioramento dell’outcome paziente nonché, quindi, della necessità di ospedalizzazione.
Malgrado tutto ciò una minoranza di pazienti attiva tra la quinta e settima giornata di malattia, che sono, quindi, cruciali, una reazione immunitaria abnorme con la famosa tempesta di citochine tanto sentita in questi giorni, che conduce molto rapidamente alla seria insufficienza respiratoria che richiede la gestione rianimatoria/intensiva del paziente; tale deriva può essere ampiamente predetta dall’alterazione di alcuni indici bioumorali rilevabili su prelievo ematico (PCR, Dimeri, emocromo, LDH, ferritina etc) e potrebbe essere gestita con successo, anche in presenza di iniziale desaturazione del paziente, con la somministrazione di Tocilizumab. In questo modo il ricorso alla gestione intensiva/rianimatoria sarebbe davvero ridotto al minimo.
Alla luce di tutto ciò, sarebbe auspicabile, nell’ambito di una vantaggiosa gestione del paziente e della sanità regionale, disporre di una rete territoriale efficiente e capace di intercettare, diagnosticare (tamponi rapidi) e, soprattutto trattare precocemente i pazienti paucisintomatici, organizzando un monitoraggio domiciliare nei giorni delicati per ridurre le complicanze e l’ospedalizzazione. A partire dalla IV – V giornata se non si intravede un miglioramento clinico ed eventualmente si nota una riduzione della saturazione di ossigeno sarebbe utile, vista l’ipotesi patogenetica non certo fantasiosa delle tromboembolie, iniziare la somministrazione in profilassi di Enoxaparina in base al peso corporeo, sotto cute, giornaliera sempre dopo aver escluso all’anamnesi eventuali diatesi emorragiche o altre terapie anticoagulanti in atto, associata eventualmente a somministrazione orale di metilprendisolone16 mg in una fase di malattia nella quale si suppone che la carica virale sia in fase discendente, per almeno due volte al giorno con protezione gastrica a base di omeprazolo. In conclusione l’azione della cura domiciliare diventa fondamentale per il buon esito della patologia virale e contemporaneamente restituisce al Medico di Medicina Generale quel ruolo che gli compete, ovvero di Medico, e non quella di un burocrate prescrittore a cui dalle varie riforme passate è stato relegato.
*Responsabile Cardiocinetica Sportiva, Dirigente Medico UOC Malattie Infettive. Specialista in Cardiologia, Cardiochirurgia, AOU Federico II
**Specialista in Malattie Infettive Medicina dello Sport e Chirurgia generale AOU Federico II