Curare gli…ospedali
12 Febbraio 2019Celebrazione della giornata mondiale del malato, don Mimo Battaglia: “L’ospedale di Sant’Agata dei Goti ha il diritto di esistere, è il primo ammalato di cui occorre prendersi cura.
In comunione con la Chiesa Universale, oggi a livello diocesano è stata celebrata la 27a Giornata Mondiale del Malato a Sant’Agata de’ Goti, nella cappella dell’ospedale “Sant’Alfonso Maria de Liguori”, con la celebrazione eucaristica presieduta dal Vescovo monsignor Domenico Battaglia – per tutti, più semplicemente, don Mimmo Battaglia – e con l’affidamento degli infermi nella mani della Vergine Santa.
“Anche nella sofferenza voi siete motivo di forza e speranza”, ha affermato don Mimmo rivolgendosi agli ammalati. “Per questo, grazie! Per la vostra vita e per la vostra offerta; il vostro esserci mi invita a chinarmi sui vostri piedi e lavarli, mi invita al servizio, alla gratuità. Gratuità è riconoscere gli altri e sentire il bisogno degli altri. Questo ci salva dalla solitudine”. Il vescovo diocesano, nella sua riflessione durante l’omelia, è partito dall’attuale situazione ancora incerta del presidio ospedaliero santagatese. “Il primo ammalato è questo ospedale, che ha il diritto di esistere. Che si fa di solito davanti ad un malato? Ci si prende cura. Il personale se ne prende cura e per questo lo ringrazio. Così come ringrazio le associazioni presenti. Ringrazio tutti per come avete il coraggio di prendervi cura di chi soffre, degli ammalati. Non solo in ospedale ma anche nelle case, sulla strada. Lì dove nessuno vi vede”.
Quella proposta oggi a tutte le parrocchie della Diocesi voleva essere un modo per promuovere e vivere un momento di riflessione e di preghiera, nella propria comunità, con gli ammalati, i disabili, gli anziani, gli operatori sanitari e di carità, e con le varie associazioni di volontariato e con le varie case di riposo per anziani e per ammalati. “A partire dal Vangelo – ha proseguito don Mimmo nella sua meditazione – dobbiamo fare in modo che questa giornata venga celebrata ogni giorno con la vita, con i gesti, con il chinarsi, con il prendersi cura, il non far sentire da solo chi soffre. Noi abbiamo bisogno di loro. Gli ammalati ci riportano all’essenziale. C’è bisogno di un modo che metta in prima fila gli ammalati. Loro ci fanno riscoprire il valore grande della fede”. Gli ammalati, dunque, come dono in grado di sfidare l’individualismo e la frammentazione sociale contemporanea, per muovere nuovi legami e varie forme di cooperazione umana tra popoli e culture attraverso, prima di tutto, il dialogo. Il dialogo, quindi, come presupposto del dono, che apre spazi relazionali di crescita e sviluppo umano capaci di rompere i consolidati schemi di esercizio di potere della società. Un modo ulteriore per comunicare valori, comportamenti e scelte di stili di vita che hanno, al centro, il fermento del donare gratuitamente a tutti.