Domenico Botticella: “È importante che i genitori lascino giocare e divertirsi i propri figli”
24 Novembre 2022“Io senza calcio non sto bene. Fosse per me arriverei a morire in tuta, a novant’anni, all’aria aperta, a insegnare pallone a qualche ragazzo che avesse ancora voglia di starmi a sentire”. (Zdnek Zeman)
Oggi parliamo di Covid, sport e salute con un maestro di questo sport: Domenico Botticella.
La fase pandemica più acuta sembra essere oramai alle spalle anche se i continui colpi di coda non lasciano del tutto tranquilli. Come ha vissuto, come vive, come ha affrontato e come affronta questa situazione di grande difficoltà per il mondo dello sport? Come ha gestito la paura del contagio ed il disagio legato alle severe misure restrittive?
E’ stato un periodo difficile per tutti, inondato da tante notizie vere e false che hanno destabilizzato il nostro modo di pensare e di agire. Il mondo dello sport come tutti gli altri settori ne sono usciti con le ossa rotte ma con la speranza e soprattutto con la determinazione di venirne fuori più forti. Per ciò che riguarda la gestione e la paura del contagio io come tutta la mia famiglia abbiamo solo cercato di vivere il più serenamente e normalmente possibile attenendoci alle normative anti contagio.
Insieme alle restrizioni i tentennamenti del mondo politico hanno causato gravi danni allo sport, soprattutto a quello, cosiddetto, minore. Cosa è successo, in particolare, nella sua specialità?
L’effetto sociale che la pandemia e tutte le restrizioni hanno provocato, è stato abbastanza simile in tutti i settori. Mancanza di rapporti sociali, paure, costrizioni varie hanno portato soprattutto i bambini ad allontanarsi dai contesti di gruppo; questo ha fatto si che tantissimi lasciassero gli sport minori con grave danno delle società e dei ragazzi stessi. Nel calcio professionistico i danni invece si sono ripercossi nella gestione economica per le società e nell’allontanamento dei tifosi per i calciatori: Il calcio senza gente è tutto un altro sport.
Chi è stato a spingerla all’attività agonistica? o si è trattato di una folgorazione magari guardando ai modelli dei grandi campioni?
Ho iniziato da solo. La nostra gioventù è stata caratterizzata dai giochi di strada, l’assenza di altri svaghi (telefonini, tv e altro) ci obbligava a trascorrere gran parte del nostro tempo con gli altri e per gli altri (fortunatamente) e soprattutto ad inventare giochi per trascorrere i nostri pomeriggi. Quale di questi giochi era il più semplice? Logicamente il calcio…di riflesso poi è nata la passione che poi si è smussata ammirando i campioni dello sport più popolare di sempre.
Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
Qualcuno di noi nasce con il talento di fare qualcosa; tutti gli altri hanno le potenzialità per imporsi in qualunque settore. Nel primo caso è una dote che non si allena, nel secondo caso fanno la differenza determinazione, costanza e impegno. Beh io sono un esempio della seconda ipotesi. Ho raggiunto degli obiettivi grazie alla sola voglia di fare, certo come in tutto nella vita ci vuole anche un pizzico di fortuna. Ma la fortuna aiuta gli audaci.
Se dovesse dare qualche “consiglio utile” ai ragazzi che si avvicinano alla sua specialità, cosa suggerirebbe?
Oggi come oggi direi di prendere il calcio solo come un divertimento e come uno sport che possa aiutarli a crescere sia fisicamente che mentalmente. L’apertura delle frontiere e la crisi economica che vive anche il nostro sport ti porta a non riporci troppe aspettative. Anzi, e questo lo dico soprattutto ai genitori: non sostituitevi ai vostri figli nella scelta del loro percorso di vita, lasciateli giocare, divertirsi e poi come si suol dire “ se saranno rose fioriranno”.