Don Francesco Cristofaro, di fronte al Covid siamo tutti nella stessa barca
8 Aprile 2021Vivi come se dovessi morire domani. Impara come se dovessi vivere per sempre. Mahatma Gandhi. Mai come di questi tempi la frase di Gandhi sembra essere molto appropriata. Parafrasando, invece, un Saggio ateo e materialista potremmo dire: se ci sono io il Covid non c’è, se c’è il Covid io non ci sono più…per cui è meglio occuparsi (impegnandosi nella opportuna profilassi) che preoccuparsi (morirò di Covid?). Avere una anticipatio mentis.
Insomma in un momento tragico come quello attuale, affidarsi alla Scienza è fondamentale, ma se manca la Fede allora sono guai. Ecco perché ci siamo rivolti ad un Mistico dei nostri giorni che ha una grande familiarità con il Web e gli attuali mezzi di comunicazione.
Don Francesco Cristofaro nato a Catanzaro il 10 novembre del 1979, parroco nella Parrocchia “Santa Maria Assunta” in Simeri Crichi. Licenza in Teologia Spirituale presso la Pontificia Facoltà Teresianum in Roma. Conduce su Radio Mater la Rubrica “Alla luce della fede”. Conduce su Padre Pio TV la trasmissione “Fatti per il Cielo”.
Collabora con Tv2000 come ospite fisso nella trasmissione l’Ora Solare condotta da Paola Saluzzi ed è stato ospite ne Il Diario di Papa Francesco, Bel Tempo si spera, Siamo noi. Scrive con il settimanale Miracoli Ha pubblicato per Tau editrice
– Il Giubileo della Misericordia;
– La Santa Messa. Nutrimento per la famiglia Cristiana;
– I venti misteri del Rosario meditato.
– Un pensiero a Maria. Preghiere mariane;
– Il mio si al Signore. Testimonianze di vita sacerdotali
– Il mio si al Signore. Testimonianze di fede e di vita
– Signore ti prego con il cuore
– eBook Aiutami a credere
– eBook La mia vita. Pensavo di non servire.
Invitato in diverse città italiane per portare la sua testimonianza di vita. Ha partecipato come relatore al corso “Un pò più di vicinanza” promosso dalla Pastorale della Salute della CEI e della Diocesi di Roma. È stato opinionista nel programma Storie Vere e Storie Italiane di Rai 1. Ha partecipato al programma Sulla Via di Damasco di Rai 2. Ideatore del Premio Solidarietà in cui vengono premiate realtà o personaggi del mondo dello spettacolo che portano avanti il messaggio della vita come dono.
Presente sui social facebook, instagram, twitter, YouTube ed ha un sito.
Come ha vissuto e vive Don Francesco Cristofaro la paura del contagio ed il notevole disagio per le indispensabili misure restrittive?
Ci sono stati momenti, soprattutto nel primo lockdown, in cui è stato difficile capire e realizzare ciò che l’Italia e il mondo intero stesse vivendo. Ci ricordava Papa Francesco in una Piazza San Pietro deserta “siamo tutti sulla stessa barca”, e lo siamo realmente come fratelli tutti, senza distinzione di razza, colore della pelle, ceto sociale ed economico. Ricordo in quei periodi di essere rimasto chiuso in casa in casa per diversi giorni con i miei genitori. Celebravo la Santa Messa in una stanzetta piccola, trasmettendo in streaming. Ogni giorno si aggiungevano alle dirette tante persone e oggi siamo migliaia a pregare insieme attraverso il mio canale Youtube “Don Francesco Cristofaro”. Non avevo e non ho paura per me. Ho sempre avuto paura per i miei genitori. Li ho visti fragili come tante persone attaccate ai respiratori per tanti lunghissimi giorni. Ho letto storie drammatiche, di famiglie distrutte dal Covid ma, dall’altra parte ho subito lo scherno di chi mi diceva che il covid era una febbre più resistente delle altre e, intanto, in tv si vedevano scene strazianti. Poi è arrivata l’estate e sembrava essersi normalizzato ma il mostro è tornato più forte. Leggo anche storie di famiglie economicamente distrutte o di chi si è tolto la vita. Non entro in merito alla gestione della pandemia. Sono sicuro che non è facile gestire un evento del genere, per questo da una parte occorre tutto il massimo impegno per garantire aiuti, ripresa e immunizzazione di gregge, dall’altra, cioè dalla nostra, occorre tutta la responsabilità e il rispetto delle regole e noi siamo bravi quando ci viene chiesto un sacrificio ma non sempre e non tutti per citare l’incipit iniziale.
In questi momenti tristi si registrano in gran parte della popolazione difficoltà sia di ordine spirituale che psicologico ed economico. La Chiesa cerca di provvedere a tutte le necessità dei fedeli, conforto religioso in primis, supporto umanitario attraverso i cappellani degli ospedali ed il costante impegno profuso dalle Caritas Diocesane nel sostegno materiale dei poveri in crescita esponenziale. Cosa la Chiesa potrebbe fare di più?
In questo lungo anno la Chiesa si è davvero reinventata. Da pochissimi sacerdoti che usavano i social e le dirette streaming (in alcuni casi, per ridere un po’, abbiamo assistito a scene tipiche da Paperissima Tv), si è passati ad un uso massiccio di questi mezzi per entrare nelle case dei fedeli, nei letti degli ospedali, nelle case di riposo. Si sono moltiplicate iniziative, celebrazioni, momenti di preghiera. Quando la prima volta sono salito sull’altare, dopo aver fatto la genuflessione davanti al tabernacolo, ricordo di essermi girato verso le panche, lì ho realizzato che non c’era nessuno. È stato bruttissimo. Le lacrime hanno bagnato il mio viso. I miei fedeli, però mi stavano seguendo da casa, c’erano, avevano bisogno di me. Quanti sacerdoti, durante la settimana santa, hanno portato le statue in processione per strade deserte con le persone affacciate sui balconi. Era un modo per dire: “noi ci siamo”. Quante videochiamate ho fatto anche solo per dire “come stai?”. La povertà anche tra i nostri parrocchiani è cresciuta a dismisura ma è cresciuto anche il senso di responsabilità e la carità fraterna. Il deposito della mia caritas parrocchiale è sempre pieno. Il cuore dei nostri fedeli è grande. Sempre la Chiesa deve poter fare di più ma, soprattutto, deve poter amare l’altro chiunque esso sia. Se ama saprà anche adoperarsi per l’altro.
La preghiera pensata come un mezzo per realizzare un fine personale è una meschinità, è un furto. Suppone un dualismo e non una unità in natura e nella coscienza. Non appena l’uomo sarà tutt’uno con Dio, non pregherà più. Vedrà la preghiera in ogni atto. Ralph Waldo Emerson. Cosa rappresenta per Lei la preghiera?
Ho scritto un libro con cui ho girato l’Italia fino all’inizio della pandemia da coronavirus dal titolo “Signore ti prego con il cuore” (Tau editrice) per dire che la preghiera è qualcosa che ha a che fare con il cuore. Si, da cuore a Cuore. Il cuore dell’uomo che si rivolge al cuore di Dio. E quando due cuori si parlano si comprendono anche senza aprire bocca. Per me la preghiera è come l’ossigeno per respirare. Senza ossigeno si muore, senza invocare l’aiuto del Signore si sperimenta fallimento e tristezza. Le più grandi battaglie spirituali, pastorali e della mia vita le ho affrontate e vinte con la preghiera. Eppure io ho pregato per quindici anni chiedendo sempre la stessa cosa, la guarigione dalla paresi alle gambe. Una volta, ricordo che dovevo affrontare una situazione che era già una sconfitta in partenza. Passai tutta la notte in preghiera. Senza dire una parola. Da cuore a Cuore. Il giorno dopo la pace avvolse il mio cuore e tutto fu semplice e meraviglioso. So che non tutti hanno il dono della fede. Non importa. Ma un credente e un non credente possono parlare, camminare insieme? Si. E allora, un ateo può anche parlare con Dio. Alla fine capirà molte più cose e sperimenterà che il Signore è molto più vicino di quanto lui immagini.