È colpa del medico quando è stato poco prudente
17 Febbraio 2019Risulta colposa la condotta del professionista che non ha prescritto accertamenti al paziente che lamentava sintomi generici. In tal senso una sentenza della Suprema corte.
La Corte di Cassazione, Sezione terza civile, con Ordinanza recante numero 30999, del 30 novembre 2018, ha sostenuto che deve essere considerata colposa la condotta del medico che non ha prescritto accertamenti al paziente che lamentava sintomi generici, con contestuale accoglimento della richiesta di risarcimento danni.
Ha sancito la Corte che la violazione della regola di condotta da cui può scaturire la colpa, può essere prevista in una norma giuridica, ma anche in una regola di comune prudenza o nelle cosiddette leggi dell’arte. La condotta dell’autore di un atto illecito va accertata ex articolo 1176 del codice civile, il quale impone al debitore di adempiere la propria obbligazione con diligenza; concetto quest’ultimo che rappresenta l’inverso logico della nozione di colpa: è in colpa chi non è stato diligente, mentre chi tiene una condotta diligente non può essere ritenuto in colpa.
L’autore di un fatto illecito è in colpa solo nel caso in cui non solo abbia causato un danno, ma l’abbia fatto violando norme giuridiche o di comune prudenza; queste ultime non sono uguali per tutti, in quanto, nel caso di inadempimento di obbligazioni professionali, il secondo comma dell’articolo 1176 del codice civile prevede un criterio più rigoroso di accertamento della colpa.
Infatti, sostiene in detta Ordinanza la Corte che il professionista è in colpa non solo quando tenga una condotta difforme da quella che, idealmente, avrebbe tenuto nelle medesime circostanze il bonus pater familias; ma anche quando abbia tenuto una condotta difforme da quella che avrebbe tenuto, al suo posto, un professionista medio, ovvero un professionista serio, preparato ed efficiente.
Orbene, per valutare la colpa del medico, il parametro di riferimento è la condotta che avrebbe teoricamente tenuto ex articolo 1176 codice civile, comma 2, al posto del convenuto, un medico diligente.
Nello specifico, ha affermato la Corte, che dinanzi a sintomi aspecifici, riferibili potenzialmente a malattie diverse, o comunque di difficile interpretazione, il medico non può attendere il corso degli eventi, ma deve formulare una serie di alternative ipotesi diagnostiche, verificandone poi una per una la correttezza; oppure, in alternativa, segnalare al paziente, tutti i possibili significati della si8ntomatologia rilevata.
Dunque, la condotta del medico che, di fronte a sintomi generici del paziente, non solo non ha effettuato alcuna indagine per risalire, anche per tentativi, alla causa reale del malessere del paziente, ma per di più a taciuto a quest’ultimo, tutti i possibili significati dei sintomi rilevati, è palesemente difforme dal precetto di cui all’articolo 1176, comma 2, del codice civile.
Alla luce di tale ragionamento la Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: “Tiene una condotta il medico che, dinanzi a sintomi aspecifici, non prenda scrupolosamente in considerazione tutti i loro possibili significati, ma senza alcun approfondimento si limiti a far propria una sola tra le molteplici e non implausibili diagnosi.”.