Emanuele Bortolini, ho sacrificato molto in nome dello sport che amo
19 Aprile 2022“Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più” – (Bill Shankly)
Oggi parliamo di Covid, sport e salute con un calciatore di lungo corso: Emanuele Bortolini.
“Laureando in Psicologia del Lavoro con Master in Marketing e Comunicazione dello Sport. Agonista fin dai primi calci, sono arrivato a giocare in prima squadra fino all’eccellenza dove tutt’ora gioco. Nella mia vita ho praticato a livello agonistico anche lo sci abbandonato successivamente avendo preferito il calcio. Ho praticato anche a livello amatoriale ciclismo e tennis”.
La fase pandemica nella sua fase più acuta sembra ormai essere alle spalle anche se i continui colpi di coda non lasciano del tutto tranquilli. Come ha affrontato questa situazione di grande difficoltà per il mondo dello sport? Come ha gestito la paura del contagio e il disagio legato alle severe misure restrittive?
L’avvento della pandemia credo sia stato traumatico per tutti e ha sicuramente cambiato in negativo le nostre vite. Il prezzo più caro è stato pagato dai bambini e dai ragazzi, che sono stati tartassati da restrizioni e divieti che ho sempre trovato assurdi e contro producenti, fin dal primo giorno. Il divieto in particolare di non poter stare all’aria aperta e non poter praticare sport non aveva nessun fondamento scientifico, ma è noto a tutti che il consenso elettorale prevale su ogni cosa, anche sul buon senso. Tutti si sono concentrati sulla malattia fisica ma nessuno sui disturbi mentali. Divieti e restrizioni perpetrati per due anni hanno causato e causeranno a una larga fascia di popolazione, danni dei quali solo a breve inizieremo ad accorgerci, soprattutto in quelle fasce di età che in teoria dovrebbero essere il futuro per il nostro paese.
A livello personale, nel marzo 2020 giocavo nella Sestrese Calcio in Promozione girone A del campionato Ligure, e ci stavamo contendendo punto a punto il campionato. Con l’avvento della pandemia, l’ultima giornata prima della sospensione del campionato, ci ha consentito di piazzarci in testa alla classifica e con la non ripresa dei campionati siamo stati promossi in Eccellenza, essendo in quel momento capolista del girone. I mesi di lockdown sono stati durissimi. A livello mentale, personalmente, la seconda e terza ondata le ho accusate molto di più. Io insieme alla mia società, la Sestrese, storica e gloriosa società genovese e ai miei compagni, siamo stati nonostante tutto fortunati, perché durante la seconda ondata il campionato di Eccellenza è stato inserito nei campionati di interesse nazionale e quindi la possibilità di continuare ad allenarci e poi riprendere in Aprile 2021 il campionato, anche se con una formula nuova, mai sperimentata prima. Durante la seconda ondata la mia società è stata eccezionale mettendoci nella condizione di poterci allenare e giocare in totale sicurezza. La parte più complicata nella pratica era sicuramente l’iniziale divieto di poter utilizzare gli spogliatoi e in inverno andare a casa sudati dall’allenamento devo dire non era proprio il massimo. Inoltre non era consentito “il contatto” in campo, per evitare il contagio, quindi andavamo in campo solo per tenerci atleticamente allenati. Ma vista la situazione ci sentivamo quasi dei “privilegiati”.
Le restrizioni e il tentennamento del mondo politico hanno causato gravi danni allo sport, soprattutto per quello cosi detto minore, cos’è successo in particolare nella sua specialità?
La mia specialità è il calcio ed è stato a livello generale un periodo complicatissimo, del quale ancora oggi portiamo tutti i segni: dalle società ai giocatori, dal magazziniere ai gestori dei campi. I campionati sono stati totalmente riformulati creando situazioni molto complesse per le società. Nel mio campionato, Eccellenza Ligure 2021/2022, verrà promossa una squadra in D e fino a 7 squadre retrocesse in Promozione, mentre nell’epoca pre-covid le retrocessioni erano sempre state non più di 3. La vera crisi è stata però sicuramente nei settori giovanili essendo stati chiusi per quasi più di un anno. Questo ha causato perdite a livello numerico di bambini e ragazzi, che purtroppo tra chiusure e un aumento esponenziale (causato soprattutto dalle restrizioni) della tecnologia ludica, hanno preferito dedicarsi a altro. Per molte società questo ha creato un grave danno e un effetto domino che ha colpito tutto il settore. Il punto centrale per me rimangono sempre i bambini e i ragazzi di tutti gli sport che bisogna assolutamente cercare di recuperare, perché lo sport è parte fondamentale e necessario nella vita di tutti noi, soprattutto in quelle fasce di età.
Chi è stato a spingerla all’attività agonistica? o si è trattato di una folgorazione magari guardando ai modelli dei grandi campioni?
Sono sempre stato fin da piccolo un grande appassionato di sport in generale ma il colpo di fulmine, quello di cui non posso fare a meno, è sicuramente stato il calcio. Essendo di Genova, città che vive di calcio, mi sono innamorato subito dei colori più belli del mondo, quelli della Sampdoria e da li l’interesse poi nel praticarlo. Devo ringraziare mia mamma per tutti i sacrifici fatti portandomi ad allenamenti e partite. La famiglia è fondamentale. Ho iniziato a praticarlo a scuola, poi nei vari settori giovanili, dove ho avuto l’opportunità di essere allenato da Giovanni Invernizzi, Campione d’Italia con la Samp nel 91 e vice Campione d’Europa in quella maledetta finale persa dalla Samp con il Barcellona. Mi ha insegnato e trasmesso moltissimo come tutti i tecnici che ho avuto.
Al di la delle doti personali e delle attitudini quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
La forza di volontà e i sacrifici sono alla base a mio parere nei dilettanti ancor più che nei professionisti. Ho sacrificato molto per poter praticare lo sport che amo, sabati sera a casa con rientri a orari consoni per poter essere in forma la domenica, tempo tolto a famiglia, fidanzata e amici, infortuni e via dicendo. Nei dilettanti la vera sfida è riuscire a coniugare studio, lavoro e vita sociale. La passione è alla base e senza è difficile proseguire.
Cosa suggerirebbe ai giovani che si avvicinano alla sua specialità?
Ai ragazzi più giovani dico sempre di cercare di capire fin da subito se ciò che fanno li fa stare bene e li appassiona. Non deve essere un peso andare al campo, costretti magari dai genitori o con la speranza di diventare calciatori. La motivazione deve essere la passione e l’amore per lo sport, se no si rischia di rimanere scottati. Dico inoltre di fare una vita sana. Riposo e alimentazione corretta sono a mio parere fondamentali. Tutto questo deve avvenire con il sostegno della famiglia perché senza è tutto più difficile. Un appello vorrei farlo anche alle scuole. Lo sport spesso viene visto come qualcosa che “leva” tempo allo studio, qualcosa che è un più, che se non ci fosse sarebbe meglio, e questo posso affermarlo per esperienza diretta. Lo sport non toglie lo sport aggiunge e basta. Scuola e Sport devono andare di pari passo e insegnanti e addetti ai lavori dell’istruzione dovrebbero essere orgogliosi di vedere propri alunni eccellere e raggiungere i propri obiettivi perché lo sport come la scuola ritengo essere una scuola di vita. Questo spesso non avviene e il rischio è solo quello di allontanare ragazzi dal mondo dello sport a causa di “ di voti negativi o addirittura bocciature e i risultati sono sotto gli occhi di tutti con risultati come quello noto a tutti della Nazionale Italiana di calcio. Questo è secondo me il tema fondamentale da affrontare nei prossimi anni. Si parla tanto di settori giovanili, troppi stranieri, campionati strutturati male ed è tutto vero ma non ho sentito ancora nessuno parlare di scuola, cultura e sport come un tutt’uno. Speriamo questo possa avvenire il prima possibile. Chiudo ringraziandovi con una citazione di Nelson Mandela che mi ha colpito molto e che è andata a chiudere la mia tesi di Master.
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di ricongiungere le persone come poche altre cose. Ha il potere di risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione”. (Nelson Mandela)