Enrico Stamato, quale sarà il futuro per le scuole calcio?
14 Marzo 2021La scelta di investire Valentina Vezzali del ruolo di responsabile dello Sport in seno al Governo ci riempie di gioia. Ed anche se Valentina rivestirà il ruolo di Sottosegretario, per noi sportivi sarà il Ministro dello Sport. Siamo sicuri che da oggi in poi anche i politici ed i tecnici più refrattari si renderanno conto dell’alto valore dello Sport per la conservazione della salute psicofisica di ognuno.
Ne parliamo con un valido sportivo agonista: Enrico Stamato. Nato a Catania il 26 settembre 1989, nel suo sangue scorre sia la sua Sicilia etnea, sia la Calabria (dove ha sempre vissuto), in particolare a Cetraro, un bellissimo paese che si affaccia sulla costa tirrenica cosentina. Ha fatto del calcio la sua passione e il suo lavoro.
Dopo 15 anni a girovagare per la Calabria, giocando nei vari campi dilettantistici, ha iniziato, quasi per casualità, a collaborare con la scuola calcio di Cetraro e da lì è stata sempre una continua evoluzione sia sul piano personale che sul piano professionale.
Anno dopo anno, studio dopo studio, accompagnato sempre dalle risate e dalla gioia che può dare ad un bambino un semplice calcio al pallone, senza rendersene conto è passato dal farlo per hobby a farlo per lavoro a 360 gradi.
Dopotutto un vecchio detto dice proprio così “fai quello che ami e non lavorerai mai un solo giorno della tua vita”.
Ha conseguito brillantemente la qualifica di allenatore di base UEFA B nel febbraio 2017.
La cosa straordinaria è che questo corso, organizzato dalla FIGC con posti limitatissimi è cominciato ufficialmente il giorno del suo compleanno, una coincidenza che lo ha fatto sempre un po’ sognare ad occhi aperti.
Attualmente ha l’onore e il piacere di lavorare per l’Academy Milan Digiesse di Praia a mare, prestigiosa scuola calcio di elite, dove opera come co responsabile tecnico di circa 200 bambini, ragazzini e ragazzi.
Il suo scopo è quello di far crescere i piccoli calciatori e con dei valori ben specifici, quale l’amicizia, l’aggregazione, l’onestà, la lealtà e far coltivare in loro quel senso civico che attraverso lo sport porteranno avanti per tutta la loro vita, in campo e soprattutto fuori dal campo.
Come ha vissuto e vive Enrico Stamato la paura del contagio ed il disagio legato alle indispensabili misure restrittive?
Ho vissuto il periodo del primo lockdown con molto dispiacere e preoccupazione.
Ricordo che ero appena tornato dagli allenamenti, dopo l’annuncio dell’ex premier Conte, quasi sono scoppiato in lacrime. Innanzitutto non solo perché saremmo stati chiusi per un po’ di tempo, ma perché non riuscivo a spiegarmi come mai stava accadendo tutto questo. Per non parlare della paura che iniziava a farsi sempre più grande perché a prescindere dallo sport, era ed è tutt’oggi una catastrofe mondiale.
Dopo aver passato qualche giorno di sconforto, però, abbiamo iniziato ad elaborare con tutto il nostro staff tecnico e dirigenziale, degli intrattenimenti per i nostri tesserati.
Per i più piccini, categorie come Primi Calci e Pulcini, assegnavamo dei lavori simpatici da fare con la palla. Ad esempio chi riusciva a dribblare più oggetti in casa, oppure chi riusciva a fare canestro con la palla dentro un cesto, o chi riusciva a palleggiare con degli oggetti. Cercavamo nei limiti di far sentire la nostra vicinanza ai bambini. La società ci è sempre stata molto vicina, agendo nel sociale regalando mascherine e disinfettanti.
In che modo la pandemia ha influenzato e limitato l’attività delle scuole calcio?
Il rapporto tra un bambino e il calcio è un qualcosa difficile da spiegare. Lo si capisce nel momento in cui calcia quel pallone e i suoi occhi brillano, mentre sogna di essere come il suo idolo. Quando è il momento dell’allenamento la felicità è tanta, perché seguire i consigli del mister e stare assieme ai propri compagni di squadra è piacevole, oltre che importante. Ma questa contentezza non è nulla se paragonata a quella del giorno della partita. Quando c’è la partita le emozioni forti che prova lasciano spazio agli scenari di fantasia più improbabili. Il punto è proprio questo, quando i bambini, nello loro innocenza ci domandano “Mister ma quando facciamo la partita?” Attualmente questa è la parte più dura del nostro lavoro, non fargli fare ciò che realmente desiderano con tutto il cuore, la partita. Su quel prato verde imparano i veri valori dello sport: la gioia per la vittoria, l’accettazione della sconfitta, il rispetto reciproco, lo stare insieme ad altri ragazzini della sua età. Ma tutto ciò, ora come ora, non è possibile per nessun bimbo e non sappiamo quando potrà ritornare ad esserlo. Da quando l’intero mondo ha conosciuto il coronavirus, la nostra vita è cambiata, non è stata più la stessa. E anche quella dei bambini purtroppo. Le scuole calcio sono, appunto, chiuse o per lo meno in base al colore della regione sono molto limitate e a farne le spese, oltre agli istruttori, sono soprattutto loro, i bambini. In estate, quando la pandemia sembrava essere morta quasi del tutto, si era presa la decisione di ripartire a settembre e nel contempo di fare i camp estivi, per recuperare i mesi di inattività e riprenderci le nostre gioie attraverso il divertimento dei bambini. La maggior parte delle scuole calcio, perciò, avevano ripreso la loro attività con grande entusiasmo. Ma poi, però, quello che è successo a marzo si è ripetuto. L’incubo ha fatto il suo ritorno. Salvaguardare la salute, in questo momento, è l’obiettivo principale per il nostro Paese. Anche se fa male che le attività siano al momento parzialmente sospese, dobbiamo farcene una ragione pagare per questo brutto periodo sono i club con meno risorse e le società volte a formare i ragazzi e ad insegnare loro i principi fondamentali dello sport. A questo punto, una domanda sorge dunque spontanea. Se il virus dovesse perdurare e non si riuscisse a trovare un modo per “convivere” con esso, quale sarà il futuro per le scuole calcio e per tutto il mondo del calcio minore? La pandemia ha praticamente rivoluzionato il modo di affrontare gli allenamenti e ciò che circonda il settore calcistico. Se escludiamo i professionisti, il mondo del calcio dilettantistico è letteralmente in ginocchio. Questo fa molto male.
Cosa Le ha dato il Calcio per la sua crescita umana e professionale?
Il calcio non si può spiegare, il calcio si può capire nel momento in cui ti emozioni per un goal, per una bella partita, per i tifosi che cantano per 90 minuti. Si capisce negli occhi di un bambino quando esulta come il suo eroe sportivo. Il calcio mi emoziona perché è qualcosa che parte da dentro, non riesco a spiegarvi bene cosa è questo sport per me. Posso dirvi con esattezza però che il calcio mi ha dato tutto. E per tutto intendo non cose materiali, ma sensazioni ed emozioni che porterò sempre con me. Mi ha dato amicizie, quelle vere. Mi ha fatto conoscere tante persone belle da cui prendo spesso insegnamenti. Mi ha dato l’affetto della gente, mi ha dato una linea guida per la mia vita e mi ha trasmesso tantissimi valori, che oggi a mia volta trasmetto ai bambini. Mi ha fatto crescere sotto tanti punti di vista. Mi sento libero di fare davvero ciò che amo professionalmente e mi ritengo una persona estremamente fortunata. Amare il proprio lavoro, investire per il proprio lavoro e farlo sempre con grande curiosità, voglia di crescere e di migliorarsi mi fa essere una persona molto positiva. A livello professionale credo e, ne sono davvero convinto, di aver trovato la mia strada e la mia dimensione. Non so dove arriverò, però so che questo percorso mi porterà la stessa felicità del primo giorno in cui ho allacciato le scarpette da calcio.