Esito irrilevante se l’intervento viola l’autodeterminazione
28 Agosto 2019Secondo consolidata giurisprudenza, il consenso informato del paziente si pone come condizione essenziale per la liceità dell’atto operatorio.
La suprema Corte di Cassazione, terza sezione civile, con recente sentenza del 15 aprile 2019 recante numero 10423, ha sancito che l’esito di un intervento chirurgico è da considerarsi irrilevante se viene violato il diritto all’autodeterminazione.
Nello specifico la Corte ha statuito che la necessari età di un intervento chirurgico ed il suo carattere risolutorio non assumono rilevanza in termini assoluti, ai fini dell’esclusione della responsabilità del medico e della struttura sanitaria. Invero, in tema di attività medico chirurgica, ancorché l’intervento appaia ex ante necessitato sul piano terapeutico ed ex post risolutivo, laddove il consenso informato del paziente non sia stato correttamente e legittimamente acquisito, si determina comunque una privazione della libertà di autodeterminazione di quest’ultimo, senza che tale pregiudizio possa essere compensato dall’esito favorevole dell’intervento.
Nel caso de quo, il danno subito dal paziente consiste in un danno conseguenza, in una lesione della sua dignità, indipendente dall’utilità dell’intervento, essendo il bene della salute un bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona.
La violazione dell’obbligo di informazione, oltre un livello minimo di tollerabilità, assume rilievo ai fini risarcitori a condizione che sia allegata e provata l’esistenza di pregiudizi non patrimoniali, anche a mezzo di presunzioni, derivanti dalla violazione del diritto all’autodeterminazione, dovendo il Giudice procedere ad un bilanciamento tra solidarietà e tolleranza, secondo il parametro della coscienza sociale di un determinato momento storico.
Dunque, alla luce di tali enunciazioni, il consenso informato è da considerasi assoluto oltre che inderogabile, salvo ipotesi di urgenza e/o di trattamento sanitario obbligatorio.
In definitiva, secondo ormai consolidata giurisprudenza, il consenso informato del paziente si pone come condizione essenziale per la liceità dell’atto operatorio, dovendosi intendere quale espressione della consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico oltre a configurarsi quale vero e proprio diritto della persona, trovando fondamento nei principi espressi nell’articolo 2 della Costituzione che della persona tutela e promuove i diritti fondamentali oltre agli articoli 13 e 32, sempre della nostra Costituzione, i quali stabiliscono che la libertà personale è inviolabile e che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
In conclusione, il diritto al consenso informato del paziente, in quanto diritto irretrattabile della persona, va comunque e sempre rispettato dal sanitario, a meno che non ricorrano casi di urgenza ovvero che non si tratti di un trattamento sanitario obbligatorio. Tale consenso è talmente inderogabile che non assume alcuna rilevanza, al fine di escluderlo, il fatto che l’intervento sia stato effettuato in modo tecnicamente corretto, per la semplice ragione che, a causa del totale deficit di informazione, il paziente non è posto in condizione di assentire al trattamento, consumandosi nei suoi confronti, comunque, una lesione di quella dignità che connota l’esistenza nei momenti cruciali della sofferenza fisica o psichica.