Fast Food, uno studio rileva ftalati e plastificanti nel cibo
23 Gennaio 2022I fast-food sono da sempre considerati un esempio di alimentazione non bilanciata, spesso annoverati tra le cause dell’epidemia di obesità nel mondo occidentale. «Secondo un recentissimo studio la dieta sbilanciata non sembrerebbe l’unico elemento preoccupante di quanto viene servito in questi locali» afferma Valerio Renzelli, endocrinologo libero professionista, Roma. «Gli autori, infatti, hanno quantificato per la prima volta la presenza di ftalati e plastificanti, sia nelle pietanze vendute che nei guanti utilizzati per maneggiarle, con risultati non incoraggianti. Gli orto-ftalati sono plastificanti, con il ruolo di rendere la plastica più morbida e malleabile. Ftalati ad alto peso molecolare, come il dietilesil-ftalato (DEHP) ed il di-n-butil-ftalato (DnBP), sono stati spesso utilizzati per questo scopo nel polivinil-cloruro (PVC), a sua volta utilizzato per il confezionamento dei cibi. A causa del noto effetto di endocrine disruptor, gli enti regolatori ne hanno ristretto l’utilizzo, a causa della facile migrazione dalle confezioni agli alimenti, ma l’esposizione resta alta, soprattutto per il consumo di alimenti altamente processati».
A causa della loro tossicità, segnala Renzelli, i produttori hanno cambiato il tipo di plastificanti da utilizzare con il PVC, utilizzando sostanze come l’adipato di 2-etilesile (DEHA), il di-isononil-1,2-cicloesano dicarbossilato (DINCH) e il diottiltereftalato (DEHT) che, nonostante il nome, non fa parte degli orto-ftalati. I pochi studi, solo su animali, relativi alla loro tossicità non consentono di apprezzarne adeguatamente i possibili effetti sulla salute umana. «L’obiettivo del nuovo studio è stato quello di quantificare i livelli di otto orto-ftalati e tre plastificanti sostitutivi, sia nei cibi comunemente ordinati nei fast-food che nei guanti utilizzati per maneggiarli» spiega Renzelli. «Sono stati presi in esame i cinque cibi più ordinati nelle tre categorie principali (hamburger, pizza e Tex-Mex) nella città di San Antonio, in Texas. Il periodo di analisi è stato in due fasi, dal 2017 al 2018, e sono stati analizzati cibi da più siti per ciascuna catena di fast-food, comprati lo stesso giorno e usando condimenti standard. Sono stati rilevati plastificanti in tutti i cibi analizzati, con livelli maggiori in quelli contenenti carne: DnBP e DEHP sono stati gli orto-ftalati più frequenti, mentre il DEHT è stato il plastificante sostitutivo più frequente. DEHT e DINCH sono stati rilevati sia nei cibi che nei guanti provenienti dallo stesso ristorante, suggerendo che la manipolazione degli alimenti sia una delle cause di esposizione a plastificanti. Tale dato è in linea con studi di bio-monitoraggio, che indicano come l’esposizione al DEHT stia gradualmente aumentando nella popolazione generale. La presenza diffusa di DHEP e DnBP nei cibi, ma non nei guanti, suggerisce che la contaminazione possa avvenire in siti a monte della catena di distribuzione alimentare».
Quali conseguenze per la salute umana? «L’esposizione agli orto-ftalati, tra cui DEHP e DnBP, è stata correlata a effetti nocivi metabolici, riproduttivi e del neuro-sviluppo: DEHP induce criptorchidismo e alterazioni nel testosterone testicolare e nell’omeostasi delle cellule di Leydig» spiega Renzelli. «Relativamente ai plastificanti sostitutivi, i pochi dati indicherebbero una sostanziale sicurezza, soprattutto per DEHT, ma sono da interpretare con cautela essendo finanziati dall’industria. Alcuni studi epidemiologici hanno correlato i metaboliti urinari di DINCH e DEHT a fibromi uterini e all’infiammazione, ma sono dati al momento non confermati. L’analisi ToxCast permette di valutare in vitro le potenziali interazioni tra una sostanza in esame e i recettori umani. Questo studio ha analizzato le possibili interazioni dei plastificanti sostitutivi in esame, che sembrano in grado di interagire con tre vie di segnale dei recettori nucleari: a) recettore X dell’acido retinoico-ß (RXR-ß), coinvolto in molteplici vie; b) recettore X del pregnano (PXR), coinvolto nel metabolismo e detossificazione di farmaci e sostanze esogene; c) recettore alfa degli estrogeni (ERA), la cui disregolazione può contribuire a patologie cardio-vascolari, metaboliche e oncologiche».
In conclusione, «I dati di questo studio mostrano come la presenza di endocrine disruptor sia diffusa a livello dell’industria alimentare e che, anche dopo le restrizioni mirate alle sostanze con noti effetti tossici, la loro presenza sia comunque diffusa a livello degli alimenti e nel monitoraggio delle popolazioni esposte» commenta l’esperto. «Altro dato di allarme è che il livello di sicurezza per la salute di altre sostanze, introdotte per sostituire queste, non sia stato ancora dimostrato adeguatamente da studi indipendenti. È auspicabile quindi un maggior controllo, sia a livello legislativo sia a livello di monitoraggio alimentare, per evitare le possibili conseguenze sulla salute della popolazione» conclude Renzelli.
Fonte: DoctorNews33