Ferri chirurgici nell’addome
19 Luglio 2019Chi rompe paga ed i cocci sono i suoi. Potremmo metterla anche così, con un commento sin troppo scontato, per giustificare una piccola riflessione sulla vicenda del ferro chirurgico “dimenticato” nell’addome di una donna – operata di isterectomia a seguito di una forte emorragia all’ospedale Loreto Mare di Napoli – e costretta a tornare, dopo qualche mese, sul tavolo operatorio per la svista dell’equipe chirurgica. Su tutti gli operatori coinvolti nel primo intervento – quello della “dimenticanza”, per intenderci – è calata la scure della “giustizia” interna dell’Asl Na1 Centro che ha comminato sospensioni e sanzioni. Non poteva essere diversamente, a volte si procede sotto la spinta emotiva.
Il fatto che queste “sviste” siano presenti a tutte le latitudini del Bel Paese (almeno in questo, seppur in negativo, l’omogeneità del sistema assistenziale italiano si tocca con mano) non sminuisce la gravità di vicende che non dovrebbero mai accadere e meno che meno procurare danni ai poveri malcapitati che ne subiscono le conseguenze. Pure, al di là dello scalpore che suscitano, sono fatti che capitano con una frequenza maggiore rispetto a quanto comunemente si possa immaginare. Precisamente, una “dimenticanza” ogni duemila interventi. Questi i dati ufficiali forniti dal ministero della salute.
Pure c’è una considerazione da fare che ben sintetizza il segretario della Cisl-Medici di Napoli, Lino Pietropaolo: “Premesso che ogni paziente che ritiene di aver subito un danno ha il sacrosanto diritto di ricorrere al giudice, tuttavia questo non può significare l’adozione di provvedimenti disciplinari (aggiuntivi) da parte dell’Azienda sanitaria se non in caso di dolo: un medico che opera in stato di ebrezza”.
“Per il resto – spiega Pietropaolo – ci sono linee guida ministeriali e, a cascata, precisi protocolli aziendali, la cui applicazione è finalizzata a disciplinare l’attività chirurgica, con l’obiettivo di aumentare le procedure di sicurezza ma che, in questi casi, non prevedono, ripeto se non in caso di dolo, l’applicazione di sanzioni disciplinari”.
Insomma, sintetizzando il pensiero del sindacalista della Cisl, i processi vanno lasciati ai giudici ed ai tribunali, perché altrimenti si rischia di rafforzare quell’atteggiamento che fa chiudere i medici nella, cosiddetta, medicina difensiva che è ancora più dannosa, soprattutto per i pazienti. Esistono poi, per venire al fatto concreto, una serie di procedure, come quella della conta degli strumenti, prima e dopo l’intervento, che certo non è addebitabile al chirurgo. Infine, in questi casi i rischi possono essere ridotti, seguendo protocolli e attraverso specifici iter formativi per il personale addetto, non azzerati.
“Esattamente – conclude il sindacalista Cisl – siamo in uno stato di diritto per cui vanno applicate norme e regole che esistono e vanno evitate pericolose fughe in avanti che risultano inutili e controproducenti”.