“Gastroprotettori”, gli effetti collaterali indesiderati

“Gastroprotettori”, gli effetti collaterali indesiderati

28 Aprile 2025 Off Di La Redazione

I farmaci inibitori di pompa protonica hanno un effetto gastroprotettore ma possono provocare o peggiorare la Sindrome da sovracrescita batterica intestinale.

Negli ultimi decenni, i farmaci inibitori di pompa protonica (IPP) si sono affermati come la soluzione più comune per il trattamento del reflusso gastroesofageo e delle patologie acido-correlate, dalla gastrite cronica all’ulcera peptica. I recenti dati sui consumi sono stati messi in evidenza anche dall’Aifa: l’Italia è ai vertici europei per l’uso degli IPP. Il loro utilizzo, spesso protratto per anni, viene giustificato dalla percezione diffusa che si tratti di semplici “gastroprotettori”, capaci di proteggere lo stomaco senza particolari controindicazioni. Ma l’uso eccessivo di questi farmaci possa avere conseguenze significative sulla salute come spiega l’immunologo Mauro Minelli, docente di nutrizione umana e nutraceutica in un’intervista all’Adnkronos

Gli IPP agiscono bloccando un enzima chiave, H+/K+ ATPasi, ma più comunemente noto come pompa protonica, presente nelle cellule parietali gastriche responsabile della produzione di acido cloridrico nello stomaco. Questa azione riduce l’acidità gastrica necessaria per promuovere la scomposizione e, dunque, la predigestione del cibo, con un’azione che si manifesta sia dopo un pasto che a digiuno e, se da un lato allevia i sintomi del reflusso, dall’altro può alterare l’equilibrio digestivo e intestinale. Il problema si manifesta soprattutto quando la terapia viene protratta senza una reale necessità clinica. Minelli spiega che le nuove conoscenze sul microbiota hanno evidenziato quadri clinici caratterizzati da reflusso associato a sensazione di pizzicore in gola talvolta con tosse, tachicardia, disfagia (sensazione di difficoltà di ingoiare) raucedine e lingua patinosa, sapore metallico in bocca, alitosi che farebbero immediatamente pensare ad una malattia da reflusso gastroesofageo ma che in realtà possono derivare da un’eccessiva proliferazione di batteri nell’intestino tenue, condizione nota come SIBO (Sindrome da sovraccrescita batterica intestinale) portando all’uso inappropriato di inibitori della pompa protonica (IPP). L’uso prolungato di questi farmaci riduce l’acidità gastrica, favorendo la crescita batterica nel tenue e peggiorando la SIBO.

“Una delle cause più frequenti della SIBO – spiega Minelli – è proprio il consumo prolungato e continuativo di farmaci inibitori della pompa protonica è infatti il basso livello di acidità nello stomaco che favorisce l’insorgenza della Sibo. Nello stomaco grazie all’acido cloridrico il cibo viene predigerito ma se questa azione viene inibita dalla mancanza di acido cloridrico la cui produzione viene proprio bloccata dai farmaci suddetti allora succede che gli alimenti soprattutto quelli fermentabili raggiungeranno indigeriti i batteri fermentativi eventualmente presenti nel tenue alimentandoli e così potenziandone l’attività fermentante”.

Recentemente anche l’Aifa ha segnalato che in Italia c’è un uso eccessivo degli antiacidi tale da renderlo il paese “primo in Europa per consumi degli inibitori della pompa protonica, medicinali che se utilizzati in eccesso possono alterare la flora microbica intestinale, favorendo la selezione di germi multiresistenti, come il Clostridium difficile”.

Sono certamente tra i medicamenti più usati, conferma Minelli: “Rappresentando oltre il 90% del consumo di farmaci per l’ulcera peptica e la malattia da reflusso gastro-esofageo. Secondo dati recenti forniti dall’Osservatorio nazionale sull’impiego di medicinali, solo nel 2021 la spesa complessiva per gli Ipp è stata quantificata in 660 milioni di euro. Altro elemento importante da considerare è che la prevalenza d’uso di questi farmaci raggiunge il 60% nelle persone di età pari o superiore ai 75 anni. Si tratta di cifre enormi il cui valore, beninteso, non è aumentato per l’aumento dei prezzi, ma per il progressivo inarrestabile incremento delle prescrizioni. A fronte delle quali – conclude l’immunologo – una qualche riflessione va fatta”.