Giuseppe Cannarella: “Il consiglio più importante è quello di non perdere mai di vista l’aspetto ludico dello sport”
24 Agosto 2022La pallavolo è unica perché è geometrica, giochi in un quadrato e, in tre tocchi, costruisci infiniti triangoli. (Ivan Zaytsev)
Oggi parliamo di Covid, sport e salute con: Giuseppe Cannarella.
La fase pandemica più acuta sembra essere alle spalle. Come vive e ha vissuto la situazione? Come l’ha affrontata? Come ha gestito la paura del contagio e il disagio legato alle misure restrittive?
Dire che il Covid ha rivoluzionato le vite di tutti mi sembra quasi riduttivo. Dal marzo 2020 ad oggi la situazione è decisamente più gestibile nonostante i contagi siano comunque ancora elevati. Il primo periodo, complice anche la totale ignoranza sul virus e sulle possibili misure utili per ridurre i rischi di contagio, è stato veramente complicato. Rinunciare in modo brusco e totale alla socializzazione e al contatto umano (anche tra familiari) è stato un passaggio, seppur obbligato, che ha lasciato su tutti segni profondi. Oggi, grazie alla campagna vaccinale, alle conoscenze che si hanno su virus e i suoi effetti e alle mutazioni che sembrano (facendo tutti gli scongiuri del caso) meno aggressive, si cerca di ritornare ad una normalità che, probabilmente, sarà più cautelativa rispetto all’epoca pre-Covid.
Dal punto di vista sportivo la quotidianità è ancora influenzata dalle restrizioni seppur in modo meno invasivo e questo ha comunque i suoi effetti negativi sulle attività.
Insieme alle restrizioni, i tentennamenti della politica hanno causato molti disagi al mondo dello sport, specie quello minore. Cosa è successo alla sua specialità?
La mia esperienza personale mi porta a individuare tre periodi diversi: il primo lockdown ha bloccato tutte le attività in palestra nella seconda parte della stagione agonistica, quindi gli effetti negativi sono stati circostanziati agli aspetti puramente di risultato e conseguentemente economici. Chi aveva programmato una stagione di alto livello si è ritrovato ad aver investito senza avere riscontri. Questo ha portato a una rivalutazione degli investimenti di società e sponsor che ha lasciato una traccia profonda nel mondo della pallavolo, sia nell’alto livello che nelle altre categorie.
La ripartenza delle attività ad agosto/settembre 2020 ha visto la nascita dei famosi protocolli per il rientro in palestra con un aggravio di costi per le società e lasciando negli addetti ai lavori e negli atleti/e un senso di incertezza molto elevato. Il successivo stop di novembre ha di fatto dato una batosta più pesante del primo lockdown. Abbiamo riscontrato un elevato tasso di abbandono tra novembre e la ripresa di febbraio 2021 sia nelle fasce di età giovanili che tra gli adulti (over 19). Alcune società di categorie provinciali e regionali hanno anche rinunciato alle competizioni per mancanza di atleti.
Il terzo periodo lo individuo nella stagione che si è appena conclusa, dove si è ottenuto un recupero dal punto di vista dei tesseramenti e del ritorno in palestra degli atleti/e, complice anche la campagna vaccinale che ha dato un po’ di serenità in più agli atleti alle loro famiglie.
Chi è stato tra gli amici o in famiglia a spingerla verso l’attività agonistica? Oppure si è trattato di una sua folgorazione, magari guardando ai modelli dei grandi campioni?
Ho cominciato a giocare a pallavolo per caso all’età di 9 anni. Come la maggior parte dei ragazzini il primo approccio con lo sport è stato il calcio ma non avendo piedi buoni (o almeno meno buoni di quelli dei miei coetanei) passavo più tempo a guardare gli altri giocare che a essere protagonista in campo. Il resto è venuto un po’ da sè. Ho avuto la fortuna di avere allenatori capaci sia dal punto di vista tecnico che didattico (e spesso le due cose non vanno di pari passo purtroppo), questo mi ha permesso di crescere rapidamente e mi ha dato l’opportunità di misurarmi presto con categorie di livello elevato . Credo che lo stimolo di diventare allenatore a 18 anni sia partito dal desiderio di emulare i miei coach. Non c’è dubbio che i successi della nazionale guidata da Julio Velasco nei primi anni 90 abbiano avuto un ruolo importante nella mia decisione di intraprendere l’attività agonistica.
Al di là delle doti personali e delle attitudini, quanto conta la forza di volontà nel raggiungimento degli obiettivi?
Faccio parte della categoria di atleti che hanno fatto del lavoro e dell’impegno l’arma principale per arrivare in alto. Il talento aiuta ad apprendere rapidamente ma l’applicazione e la costanza nel lavoro è indispensabile per raggiungere gli obiettivi. Ho visto tante ragazze e tanti ragazzi “portati” per la pallavolo (e qualcuno per qualsiasi altra attività sportiva) fermarsi a livelli bassi per la scarsa capacità di impegnarsi e di sacrificarsi. Ho di contro tanti esempi diretti di atleti/e che grazie alla loro forza di volontà hanno ottenuto grandi risultati. Questo è un concetto che ripeto ad ogni inizio stagione ai gruppi che alleno e sul quale mi soffermo spesso durante la stagione per ricordare loro che il talento senza lavoro serve a poco.
Se dovesse dare qualche consiglio utile ai ragazzi che si avvicinano alla sua attività, cosa suggerirebbe?
La pallavolo è uno sport tecnicamente non semplice da apprendere. Ai ragazzi che approcciano questo sport dico sempre di avere pazienza e di fare le cose per gradi: tutti quelli che arrivano in palestra il primo giorno vogliono emulare le gesta di campioni come Zaytsev o Paola Egonu. Avere la pazienza e il coraggio di affrontare le diverse tappe di apprendimento è fondamentale per raggiungere i risultati. E poi il consiglio più importante è quello di non perdere mai di vista l’aspetto ludico dello sport. In palestra bisogna divertirsi, indipendentemente dal risultato. Su questo credo che le nazionali femminile e maschile stiano facendo un gran lavoro in termini di trasmissione del messaggio.