Gli aspetti critici della sanità campana
26 Giugno 2019C’è necessità assoluta di ripensare alle modalità organizzative dell’offerta assistenziale del territorio. Il distretto sanitario non risponde più alle mutate esigenze.
Proseguendo nell’analisi delle criticità della Sanità campana, la nostra attenzione deve essere rivolta a quella parte dell’ambito sanitario che veniva definito dal ministro Livia Turco, la seconda gamba del servizio sanitario nazionale. Vale a dire la sanità territoriale, quella che ogni giorno vede centinaia di cittadini chiedere di avviare percorsi assistenziali o curativi..
Il punto centrale e strategico della Sanità territoriale è il Distretto Sanitario una istituzione ormai vetusta che andrebbe modificata radicalmente sia da un punto di vista strutturale che di “mission”.
Il Distretto Sanitario rappresenta un territorio, in genere un ambito comunale, ma può comprendere anche più comuni, dal punto di vista strutturale è composto da una sede, dove è allocata la direzione strategica ed in cui insistono anche gli ambulatori specialistici e alcuni particolari servizi che rispondono ad esigenze burocratiche, ma il Distretto Sanitario non è solo questo. Ne fanno parte anche i diversi ambulatori dei medici di medicina generale presenti sul territorio di competenza, i centri accreditati di diagnostica clinica, di diagnostica per immagini, centri accreditati di riabilitazione, eventuali cliniche accreditate, centri per la dialisi. Tutto questo potrebbe essere considerato il potenziale “bellico” del distretto, le armi che il distretto possiede per contrastare gli stati di malattia dei cittadini che ricadono nella sua giurisdizione amministrativo – assistenziale. Questo potenziale dovrebbe essere diretto come una orchestra, dove il maestro di musica è il Direttore del Distretto.
Una persona estranea al mondo sanitario, potrebbe con meraviglia porsi la domanda, come mai una tale potenzialità non dà le risposte che i cittadini si aspettano?
Il tutto è presto detto!
Il Distretto in realtà si restringe solo a quella parte muraria dove è ubicata la direzione con gli ambulatori specialistici, tutto il restante, in molti casi, è visto o meglio avvertito come parte estranea, perché entità private seppur indicate come convenzionate – che con il decreto legislativo 229/99, sono definite accreditate – cosa che dovrebbe quindi equipararle alle strutture pubbliche, in quanto anche le strutture pubbliche, iniziando dagli ospedali, dovrebbero essere accreditate in egual misura ma nella realtà non è così.
Il decreto legislativo 229/99 prevedeva che il pubblico e il privato accreditato, dovevano competere tra loro e ciò avrebbe innescato una competizione buona, che avrebbe elevata la qualità di ambedue le strutture, ma ciò non è mai avvenuto, almeno in Campania.
Oltre la competizione si sarebbe dovuto realizzare una pianificazione del numero delle strutture considerando sia quelle pubbliche che quelle private accreditate e lì dove vi fosse stata una realtà privata accreditata di alto livello qualitativo, il pubblico avrebbe dovuto eventualmente evitare di realizzare strutture proprie che sarebbero state un doppione, questo in particolare per i centri diagnostici sia di tipo clinico, sia per i centri antidiabetici, ma anche per strutture di cura come cliniche accreditate.
Cosa si è fatto nella realtà? Essendoci una larga fetta di responsabili sanitari che governano le strutture pubbliche molto ideologizzati, si è puntato a mantenere in vita strutture pubbliche non all’altezza, ai fini di una sana competitività, e si è cercato di estromettere il privato accreditato, questo è avvenuto per i centri antidiabetici e per i centri di riabilitazione, comportando gravi disaggi ai cittadini, anche perché, proprio sul versante della riabilitazione, la Regione Campania per scelte del passato non ha mai avviato la realizzazione di servizi riabilitativi pubblici, per cui vi è un monopolio del privato accreditato, che sarebbe oggi velleitario ridurre, in quanto mettere su servizi di riabilitazione pubblici costerebbero cifre enormi e contestualmente spreco di denaro pubblico, in quanto già esistenti strutture ben organizzate accreditate anche se private.
Le scelte di politica sanitaria della Regione Campania, anche in funzione dei debiti e delle scarse risorse finanziarie, ha imposto tetti di spesa per i centri accreditati che non possono andare oltre il numero di prestazioni assegnate, anche se le prestazioni erogate sono di buona se non di ottima qualità, mentre gli ambulatori pubblici fatiscenti, poco accoglienti, privi di apparecchiature moderne, con poco personale e con lunghe liste d’attesa, continuano ad offrire servizi che in una sana competizione di mercato sicuramente soccomberebbero.
Questa è oggi la Sanità territoriale della Regione Campania, che regge grazie alla medicina generale con i suoi ambulatori sparsi su tutto il territorio regionale ed alla “resistenza” delle strutture private accreditate che, con grande sacrificio, comunque garantiscono le prestazioni loro assegnate, ma questa situazione fino a quando potrà durare?