Graziano Purgante, l’attore si mette a nudo

Graziano Purgante, l’attore si mette a nudo

13 Settembre 2024 Off Di Marco Magliulo & Pasquale Maria Sansone

Graziano Purgante è attore a tutto tondo. La sua ricerca del sapere (una laurea già conseguita in Beni culturali e l’avvio di un percorso di studi universitari di filosofia)  non è mai fine a se stessa ma diventano un “tuffo nell’abisso” per scavare più a fondo nel personaggio, laddove recita e verità si intrecciano in un unicum indissolubile dai contorni incerti e sfumati ma, proprio per questi ancor più ricco di suggestione e di pathos.

Paestum, nell’ambito della XIV edizione della Rassegna Teatrale estiva Dal Mito a + ∞, affidata alle cure di Sarah Falanga, direttrice artistica dell’Accademia Magna Grecia, la sua ultima fatica: Blu abisso. Ce ne parla?

“Blu Abisso” nasce da un’idea di Antonio Mocciola che ne sviscera un’accurata drammaturgia ed occupandosi della regia insieme a Vincenzo Vecchione  ne cura anche le musiche dal vivo. Tutto parte dallo stimolo misterioso ed enigmatico lasciato dal dipinto sepolcrale del “Tuffatore di Paestum” che, come è noto, rappresenta un giovane dal corpo nudo dipinto nel momento di “volo” prima del tuffo. Parlo di volo perché la particolarità di questa rappresentazione pittorica è stata anche il punto di partenza delle numerose domande che ci siamo poste e hanno incuriosito, in primis l’autore durante la ricerca storico-artistica e poi me come attore nella comprensione e creazione del personaggio.

 Quell’immagine ci ha fatto soffermare sull’ellisse che quel corpo librante forma nello spazio. Sembrerebbe un planare tra la vita e la morte che tende verso una redenzione divina. Questo quindi cambia il punto di vista interpretativo del tuffo nel dipinto, accompagnato dalla domanda legittima: “Chi era quel ragazzo?”. Abbiamo quindi ricostruito una narrazione quasi biografica e contestualizzata nella società dell’epoca della Magna Grecia che vede come tema intrinseco anche i riti iniziatici di matrice orfica. Un ragazzo che si affida all’anziano Maestro per “scoprirsi” alla vita, per imparare a vivere, segnando con l’esperienza del rito il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta caratterizzata  dalla ricerca ed acquisizione di consapevolezza del proprio essere in vita. Il passaggio a nuova vita è una metafora che tocca elementi tematici come il conflitto e dialogo con i propri fantasmi, traumi, sensi di colpa, affetto mancato, liberandosene, spogliandosi dei pesi che ne derivano. Il nudo artistico (riadattato senza obbligo sulle scelte politiche delle strutture ospitanti) è, in questo senso, un elemento simbolico e motivato che impatta e alimenta le tematiche trattate lasciando alla sensibilità dello spettatore il compito di ricavarne dall’esperienza fatta la drammaticità di cui è pregna. Il Tuffatore non è l’unico protagonista in questione ma è invece un filo conduttore che porta  alla presentazione di altre due vite raccontate: Florian, albanese, che lascia la propria terra per ritrovare sulle coste pugliesi la speranza di una vita migliore; Ettore Majorana che vede invece sprofondare la propria vita nel senso di colpa in quanto scopritore di alcune reazioni nucleari che hanno poi portato alla creazione della bomba atomica e alla distruzione di migliaia di vite. Il viaggio dalla vita alla morte ma anche dalla rinascita a nuova vita è simboleggiato da un elemento comune a tutti: l’acqua. Elemento di purificazione e rinascita ma anche percorso di passaggio verso i loro destini. Per Basil, questo è il nome attribuito dall’autore al Tuffatore, il tuffo in acqua segna una rinascita verticale verso la condizione divina; per Florian diventa il viaggio orizzontale da affrontare per raggiungere la speranza di una vita migliore; per Majorana una caduta perpendicolare per porre fine al dolore della vita liberandosene con la morte. Un tuffo per cambiare le proprie sorti.

L’amore per il Teatro ed i molteplici impegni non le hanno impedito di acquisire un titolo di studio importante: la laurea in Beni Culturali. Quando lo studio si unisce alla passione la miscela non può che essere esplosiva.

Io ho sempre creduto e sostengo fortemente che la formazione, la conoscenza e la consapevolezza siano la base per la struttura di un’artista. La differenza tra l’istinto del talento e il talento coltivato è che il primo agisce senza la consapevolezza del conoscere i processi utilizzati che il secondo invece riconosce passando attraverso la consapevolezza . L’ambizione e la “fame” per la propria arte inevitabilmente accresceranno il potenziale arricchendolo con lo studio e la ricerca personale. La Laurea in Beni Culturali, nello specifico del ramo “Discipline delle Arti e dello Spettacolo” è stato l’approfondimento conoscitivo di ciò che sostiene la pratica scenica laboratoriale e sperimentale. Non esiste attore che non sappia in che campo giochi e come giocare le sue carte. È stato poi il Master in “Teatro, pedagogia e didattica. Metodi, tecniche e pratiche delle arti sceniche” ad arricchire ancora di più il mio bagaglio culturale grazie al confronto con professionisti del settore del calibro di Marcello Cotugno, Anna Redi, Lorenzo Gleijeses, Alessio Bergamo, Marco Martinelli, Pasquale Scialò, Mario Spada, Andrea De Rosa, Linda Dalisi, Pasquale Mari, Costanza Boccardi, Virgilio Sieni, Nadia Baldi, Salvatore D’Onofrio, Sergio Longobardi e tanti altri, a spronare la mia ricerca artistica e intellettuale. È sempre la stessa sete che mi farà quest’anno iniziare la magistrale in Filosofia per ampliare i punti di vista sulla visione delle cose e per completare la mia preparazione al servizio della  Recitazione. Io credo che l’attore sia un antropologo e la recitazione l’espressione artistica della psicologia e del comportamento umano che gioca continuamente col bisogno di divertirsi del bambino e l’esprimere in emozioni la propria umanità.

Il grande fascino del teatro greco classico e quello futuribile dei nostri giorni. Sembrano mondi lontani ed invece…

Riguardo la recitazione sono cambiati solo i codici di linguaggio ed espressivi ma l’urgenza e l’esigenza di raccontare mondi e storie restano invariate nel tempo. Queste due epoche distanti sono l’esempio di ribaltamento del modo di intendere e fare della recitazione, che altro non è che evoluzione, ma allo stesso tempo si può notare come l’uno non esclude mai l’altro quando si tratta di riportare alla vita contenuti fondamentali per la trasmissione della cultura e della storia. Una delle bellezze del teatro è proprio quella di essere una macchina del tempo che può volare avanti o tornare indietro nelle epoche mettendo radici in ogni spettatore il quale sceglie di viaggiare per una sera immergendosi in ciò che vive.

In un workshop del 2018 ha avuto la fortuna di incontrare un mostro sacro del teatro italiano, che impressione ne ha ricavato?

Il Maestro Giancarlo Giannini è oro colato ogni volta che apre bocca! Di

quell’incontro  custodisco consiglio, esperienza e caparbietà. Ha saputo metterci in guardia riguardo la difficoltà di questo mestiere ma allo stesso tempo ci ha fatto amare il calore del sudare per puntare a stringere ciò che si ama. Tutta la sua  esperienza attoriale la racchiudo in una frase che con semplicità amava ripetere agli allievi: “l’attore è colui che con il corpo incide uno spazio e con la voce incide un silenzio”. Fondamenta dell’approccio attoriale e che mi piace riportare qui pensando che forse un giovane attore potrà leggerne le parole e trovare l’ispirazione che ci ho trovato io durante quella fase del mio percorso formativo.

Cinema e Teatro. Quale linguaggio preferisce?

Il cinema è un sistema di incastri che mi affascina tantissimo, ne amo la recitazione asciutta e minimalista, la potenza espressiva del pensiero e degli sguardi, mi incuriosisce la difficoltà di riuscire ad interpretare scene lontane cronologicamente maturando attorialmente uno sviluppo e cambiamento di status emotivo e narrativo del personaggio da una scena all’altra. Tra l’altro proprio in questi giorni torno dal set di un progetto scritto e diretto da Corrado Ardone e ho ancora addosso tutta la bellezza di quello di cui parlo: un coesistere continuo di arte che passa dalle competenze artistiche e visioni registiche, suggestioni delle location, sintonia, compattezza e colori interpretativi del cast e impegno e professionalità di ogni settore che raccorda tutto per un unico obiettivo, quello di realizzare con la massima cura e passione il prodotto cinematografico. Il teatro viceversa ha sensorialmente tutt’altro impatto, è un flusso continuo di vita, di sviluppi ed evoluzioni nel “qui ed ora”, di maturazione del cambiamento e del climax in scena, e poi inevitabilmente la presenza del pubblico, considerata o meno a seconda della richiesta di presenza o rottura della quarta parete, è un cocktail emotivo per l’attore. Dal palco percepisci in modo tangibile la tensione, l’armonia o la gioia degli spettatori. Si crea un’atmosfera che inebria e l’attore ne gode un sacco! Ma il vero ingrediente che unisce questi due codici di linguaggio differenti, che si adattano semplicemente al tipo di relazione che si stabilisce tra attore-pubblico e attore-macchina da presa, è la Recitazione in sé. Se ami giocare a ciò che ti piace lo faresti in qualsiasi modalità! La mia urgenza è raccontare. Se poi è un palco o una macchina da presa non ha importanza, l’importante è avere un destinatario a cui trasmettere il mondo che stai creando per lui passando dal tuo interiore.

Quest’anno la Biennale di Venezia ha premiato “La stanza accanto” un film di Almodovar che ha avuto il coraggio di trattare il delicatissimo tema dell’eutanasia. Se l’aspettava?

È stata una vera sorpresa in realtà. La tematica è delicata già di suo e già immagino i pareri contrastanti, ma l’arte è bella anche perché si sceglie di raccontare soggettivamente una propria visione del mondo è più che accanirsi su pareri morali dobbiamo iniziare a scindere il tutto, lanciandoci semplicemente nei mondi creati da questi artisti. Nella cornice dell’ambiente enigmatico che è stato ricostruito vi è una scelta consapevole. Una morte prevista e programmata che risulta essere diversa dalle altre morti almodovariane che invece sono passionali, struggenti e soprattutto inaspettate. Ne “La stanza accanto” si muore perché le circostanze e la vita non creno in alcuni individui spiragli d’uscita se non arrivare a considerare consapevolmente di scegliere l’ultima alternativa possibile. Sì può notare infatti che il passato, per la prima volta, rimane abbozzato, spiegato velocemente nei flashback. Si muore prima della “scadenza” per orgogliosa consapevolezza umana. Citando una battuta del personaggio di Tilda Swinton: “sopravvivere è deludente”. Chiamiamolo se vogliamo libero arbitrio.

I suoi programmi futuri?

Quest’anno è un anno pieno di teatro! Oltre la data del 12 settembre a Paestum, con “Blu Abisso” avremo modo di arrivare anche a Roma il 3 ottobre alla Cappella Orsini, 6 dicembre “Interno 4” e a febbraio al Teatro Betti.

Il 29 settembre, quindi a breve, sarò in scena insieme a Vincenzo Vecchione, che ne cura la regia, con “L’uomo più crudele del mondo” di Davide Sacco. Un progetto che sta girando già da un anno riscontrando note positive, adesso è spalleggiato e sostenuto da “The Cult”, nella persona di Corrado Ardone, per la rassegna teatrale indetta dal Teatro Instabile Napoli (T.I.N). Lo stesso andrà in scena per la stagione teatrale del Nuovo Teatro Sancarluccio il 13/14/15 dicembre con un nuovissimo riadattamento registico.

Mentre il 31 gennaio e 1/2 febbraio approderò al Teatro Sannazzaro con “2084 – l’anno in cui bruciammo Chrome”, scritto e diretto da Marcello Cotugno per la Sezione “Contemporaneo”. Uno spettacolo che si lancia nel futuro prossimo ipotizzando una realtà e società diversa dalla nostra che si evolve dalla base di quello che stiamo vivendo ai giorni nostri sotto i profili delle evoluzioni tecnologiche, sociali, dei media e relazionali, in particolar modo della famiglia. Spettacolo che ha debuttato alla Sala Assoli per CTF 2022. Affiancherò in questa esperienza grandi attori di lungo corso, come Paolo De Vita, Nadia Carlomagno, Francesco Maria Cordella e sarò inebriato dalle voci fuori campo di Lino Musella e Valentina Acca.

Con l’arrivo della primavera invece, il 22 e 23 marzo, allo ScugnizzArt Teatro si andrà in scena con un nuovo lavoro di regia di Vincenzo Vecchione che vede presenti in scena me medesimo e una giovanissima e grande attrice di prospettiva, Gaia Procentese, con “Regina Madre” di Manlio Santanelli.

Per chiudere (al momento) ad aprile si coronerà l’anno teatrale che mi aspetta con uno spettacolo, che è in fase di conferma, che  racconta Viviani, diretto da Corrado Ardone per la stagione teatrale del Trianon.

Ma quanto è bello fare Teatro! Vi aspetto a tutti gli appuntamenti con immenso calore.