I primi trenta giorni di Giovanni Vennarecci
14 Febbraio 2019Un primario al posto di due. Con l’incarico al neodirettore della chirurgia epatobiliare e trapiantologica del Cardarelli, si pone fine definitivamente al “curioso” sdoppiamento del reparto.
Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. La sua carriera si è snodata tra i reparti di chirurgia epatobiliare e trapianti nei nosocomi romani “Regina Elena” e “San Camillo”. Giovanni Vennarecci è chiamato a rilanciare il reparto nel più grande ospedale del Mezzogiorno.
Ha trovato differenze tra il San Camillo ed il Cardarelli, quale l’impatto con il nosocomio napoletano?
“Si tratta di due grandi ospedali che puntano all’alta specialità ed alla qualità delle prestazioni erogate, con all’orizzonte grandi progetti da realizzare. Qui al Cardarelli sono stato accolto bene da subito sia in ospedale sia nel reparto. Tanta la disponibilità mostratami dai colleghi medici e dagli infermieri”.
Lei è qui a lavoro da non più di trenta giorni. Anche se sono pochi può tracciare un primo bilancio delle attività svolte?
“In questo lasso di tempo, per fermarsi alle cose più significative siamo intervenuti con successo in tre interventi di trapianto di fegato e realizzato dieci resezioni epatiche, di cui una (trattandosi di testimone di Geova) senza ricorrere alla trasfusione ed operando con metodica laparoscopica. L’obiettivo che ci poniamo, ovviamente se ci saranno sufficienti donazioni, è quello di poter realizzare almeno cinquanta trapianti epatici l’anno”.
Un obiettivo ambizioso e legittimo ma che in Campania, pur in presenza di organizzazione, tecnologia e specialisti di alto profilo, rischia di diventare difficile a motivo delle liste d’attesa troppo corte. Sono in tanti, infatti, i cittadini campani che necessitano di un trapianto di fegato, “indirizzati” verso liste d’attesa di altre regioni. Con ciò consentendo a queste l’ottenimento di un maggior numero di organi che sono destinati in funzione del numero dei pazienti in attesa.
“In termini di professionalità, tecnologia ed organizzazione – conferma Vennarecci – non abbiamo nulla da invidiare ai più celebrati reparti del Paese”
L’opzione chirurgica è, un po’ l’ultima spiaggia.
“Certamente. Le patologie epatiche si affrontano innanzitutto attraverso un accurata azione preventiva di screening per identificare precocemente le patologie a carico dell’organo, in particolare epatiti B e C che risultano endemiche in alcune aeree ben identificate della Campania. Con le moderne terapie antivirali disponibili, infatti, c’è quasi sempre una remissione della malattia evitando, in ogni caso, che questa possa degenerare nelle manifestazioni cirrotiche o del carcinoma epatico per le quali la soluzione non può che essere quella chirurgica o del trapianto”.