Il comune raffreddore, una difesa dal Covid
17 Gennaio 2022Uno studio pubblicato su Nature Communications – e ripreso da Doctor33 – evidenzia che le cellule T derivanti dall’incontro con un coronavirus umano, come quelli che causano il raffreddore, comune possono proteggere in maniera crociata da una infezione da SARS-CoV-2. «L’esposizione al virus SARS-CoV-2 non provoca sempre un’infezione, e noi abbiamo cercato di capire il perché. Abbiamo scoperto che alti livelli di cellule T preesistenti, create dal corpo quando infettato da altri coronavirus umani come il comune raffreddore, possono non solo riconoscere SARS-CoV-2, ma anche proteggere dall’infezione» spiega Rhia Kundu, dell’Imperial College di Londra, prima autrice dello studio.
«Sebbene questa sia una scoperta importante, è bene ricordare che si tratta solo una forma di protezione. Il modo migliore per proteggersi dal COVID-19 è essere completamente vaccinati» sottolinea l’esperta. I ricercatori hanno studiato, a partire da settembre 2020, 52 persone che vivevano con qualcuno con un’infezione da SARS-CoV-2 confermata con PCR e che erano state quindi esposte al virus. I partecipanti hanno eseguito un test PCR all’inizio, e poi quattro e sette giorni dopo, per determinare se avevano sviluppato un’infezione. Sono stati inoltre prelevati campioni di sangue dai 52 partecipanti per analizzare i livelli di cellule T preesistenti indotte da precedenti infezioni da coronavirus del raffreddore. Gli esperti hanno scoperto che c’erano livelli significativamente più alti di cellule T cross-reattive in 26 persone che non erano state infettate, rispetto alle 26 persone che erano state infettate. Queste cellule T hanno preso di mira le proteine interne del virus SARS-CoV-2, e non la proteina spike sulla superficie del virus. I ricercatori affermano che queste proteine interne offrono un nuovo bersaglio vaccinale che potrebbe fornire una protezione di lunga durata, perché le risposte dei linfociti T persistono più a lungo delle risposte anticorpali, che diminuiscono entro pochi mesi dalla vaccinazione. La proteina spike, inoltre, è sottoposta a un’intensa pressione immunitaria mentre le proteine interne prese di mira dalle cellule T protettive mutano molto meno, e sono quindi altamente conservate tra le varianti di SARS -CoV-2. «Nuovi vaccini che mirano a queste proteine interne conservate indurrebbero quindi risposte ampiamente protettive delle cellule T, che dovrebbero proteggere dalle varianti attuali e future di SARS-CoV-2» concludono gli autori.