Il Coronavirus ha fatto a pezzi il teatro
29 Luglio 2020Nata a Latina nel 1974 è attrice, autrice e regista. Karin Proia fin da bambina è attratta dall’arte in tutte le sue forme. Studia pianoforte, canto e riempie interi quaderni di storie. Presto si appassiona alla fotografia e alle arti plastiche e visive. Dopo il diploma al Conservatorio e quello di Maestra d’Arte, si specializza in Arte Applicata. Si iscrive al Dipartimento Musica e Spettacolo dell’Università La Sapienza di Roma, studiando parallelamente recitazione al SAT (Scuola Addestramento Teatrale) e Psicodramma col Professor Ferruccio di Cori.
Nel 1994 debutta come attrice protagonista nella tragedia di Arthur Miller Uno sguardo dal ponte, per la regia di Teodoro Cassano, con Michele Placido. A teatro lavora anche, tra gli altri, con Anna Mazzamauro, Pino Quartullo, Anna Galiena ed è la Tuzza di Liolà di Luigi Pirandello per la regia di Gigi Proietti.
Presto al teatro si affiancano anche cinema e televisione dove è protagonista di numerosi film e serie. Lavora accanto ad attori come Joe Mantegna, Emmanuelle Seigner, Henry Cavill, Armin Mueller-Stahl, Giancarlo Giannini, Sergio Castellitto, Burt Young ed è diretta da registi come Pasquale Pozzessere, ominique Othenin-Girard, Joseph Sargent, Dennis Berry. Tra le serie tv ne gira anche alcune di particolare successo come Le tre rose di Eva, Lo zio d’America, Vola Sciusciù o la serie cult Boris di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo.
Nel 2008 scrive e dirige il suo primo cortometraggio, Farfallina, proiettato e premiato in vari festival. Nel 2017 esce al cinema la sua opera prima, un film scritto e diretto da lei intitolato Una gita a Roma, con Claudia Cardinale, Philippe Leroy e le musiche del Premio Oscar Nicola Piovani, vincitore di 13 riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui Miglior Film Straniero al FEFF2016 di Toronto, Premio Del Pubblico al RIFF2017 di Mosca, Miglior Attrice Esordiente per la piccola protagonista Tea Buranelli al Terra di Siena International Film Festival 2018, proiettato in alcuni paesi esteri in rappresentanza del cinema italiano di qualità.
A dicembre del 2019 pubblica il suo primo romanzo, Una gita a Roma, tratto dalla sceneggiatura originale del film.
Come ha vissuto Karin Proia, come donna, moglie e madre il lungo periodo di lockdown?
Appena saputa la notizia dell’epidemia in Cina, ho pensato che sarebbe stato il caso di prendere precauzioni per prevenire i contagi, perché ormai la globalizzazione fa viaggiare tutto in maniera drasticamente veloce. Non abbiamo dovuto attendere molto, infatti, perché giungesse la notizia che il vid-19 era arrivato al Nord Italia. La tournée teatrale di “Call Center 3.0” che mi apprestavo a iniziare doveva partire proprio da lì, a Marzo 2020. Quindi siamo stati tra i primi a fermarci con il lavoro.
Ho cominciato da subito una quarantena spontanea, insieme alla mia famiglia, non appena chiuse le scuole. In tutto il periodo del lockdown sono uscita soltanto un paio di volte per fare la spesa.
Era ancora un virus sconosciuto quindi non volevo né rischiare, né essere ipotetico veicolo di possibili contagi. Ho evitato di seguire i telegiornali, i bollettini quotidiani e anche di leggere i social, dove lo sport principale dei più sembra quello di tirare conclusioni all’inizio, quando ancora non è finito niente.
Quindi, tutto sommato, la chiusura non ci è pesata molto, siamo riusciti a mantenere un sano equilibrio, anche familiare. La cosa che ho sofferto di più è stata la mancanza di mio padre che non ho visto per più di due mesi, videochiamate a parte. Ho impiegato il tempo in lavori semplici e creativi, che includessero anche La partecipazione di mio marito e di mia figlia, non ultimo costruire una grande compostiera con legno riciclato.
La lunga, ma indispensabile, clausura, a causa del Covid19, ha messo a dura prova l’economia italiana, bloccando numerose attività, come quella del cinema, del teatro e dello spettacolo. Lei hai messo in atto un’edificante iniziativa a sostegno dei lavoratori di questi comparti. Ce ne parli.
L’emergenza sanitaria ed economica in cui è precipitato il nostro paese (tra i primi), ha portato alla luce i problemi che la nostra categoria si trascina da anni: la mancanza di riconoscibilità e la conseguente mancanza di tutele. Sembra incredibile, ma nel paese dell’arte e della cultura, la categoria degli “attori” a Livello giuridico non esiste. Esistiamo come lavoratori solo nel corpo generico dei lavoratori dello spettacolo. Siamo lavoratori dello spettacolo, non c’è dubbio, ma rispetto alle altre professionalità del settore, l’attore ha delle specificità che lo rendono estremamente diverso a livello contributivo, quindi, con i criteri applicati agli altri, resta invisibile allo Stato. Risultato: circa l’83% degli attori è rimasto escluso dai sussidi di emergenza. Non bisogna sottovalutare inoltre il fatto che la nostra categoria si porta dietro anche tanti luoghi comuni, ci vedono come famosi e privilegiati, ma i privilegiati sono solo la punta dell’iceberg.
Siamo una categoria, piuttosto, senza nessun paracadute sociale: pensione, disoccupazione, maternità, malattia, sono praticamente inaccessibili. Da questa invisibilità si è consolidata la necessità di autodefinirsi e autocensirsi per creare un Registro Professionale, che non sia un albo, perché in Italia sarebbe anticostituzionale, che non impedisca quindi a chi è fuori di svolgere l’attività di attore, ma che distingua i professionisti Che vivono di questo lavoro e che, in tema di emergenza e ammortizzatori sociali, hanno bisogno di essere riconosciuti. Moltissimi colleghi “invisibili” allo Stato ad oggi sono in seria difficoltà e non si sa neppure quando si potrà ricominciare a lavorare. Siamo per fortuna riusciti ad aprire un dialogo costruttivo con la politica. In particolare, con Marianna Madia, Flavia Piccoli Nardelli e Debora Serracchiani, che hanno depositato una proposta di legge per istituire il Registro Attrici e Attori Italiani, che dia finalmente dignità ai professionisti che ad oggi sono stati dimenticati. Speriamo che questa proposta di legge sia sostenuta e possa vedere presto la luce, perché sarà il primo passo per avere le tutele alla base di qualunque lavoro dignitoso.
Per un’esperta della finzione scenica, abituata a creare situazioni paurose che, però, hanno un the end, cosa ha significato vivere in una situazione di paura reale prodotta da una tragedia vera?
Non ho avuto paura e tuttora non ho paura, bisogna mantenere la lucidità e informarsi attraverso persone di cui si ha fiducia. L’economia, prima del Coronavirus, era già arrivata al capolinea; ora la situazione sta precipitando e probabilmente continuerà a precipitare, ma la storia ci insegna che dopo le grandi crisi ci Sono sempre delle meravigliose rinascite, sia economiche che culturali e auspico una veloce ricostruzione. Speriamo nel più breve tempo possibile di ritrovarci in un mondo migliore, con più uguaglianza e più diritti per tutti.
Sei, in primis, Attrice Teatrale, di Cinema, di Televisione, Regista, Scrittrice, Pluripremiata e, pertanto, proponi il Vaccino della Cultura del Teatro, del Cinema, quale Antidoto al Nemico Invisibile e celebri, onori e consacri la Cultura dei Diritti dei Lavoratori del Settore. I Vostri Diritti, infatti, sono misconosciuti, lesi, disattesi, vituperati e conculcati. Rivendichi le stigmate lasciate dal Lockdown, perciò, con pervicacia e passione civile, Ti proponi quale Volano di Cultura di Palingenesi e di Ripartenza? Ci illustri come hai generato questa Tua lodevole Mission, che consente a Voi Tutti di proiettarvi al Futuro?
Un Work-in progress urgente, emergente nel pieno rispetto dell’obbligato distanziamento interpersonale, che riduce il Pubblico, ma che implementa la Vostra Vicinanza Emotiva, Condivisione e Compartecipazione.
La cultura spesso è l’unico vaccino per le coscienze, ma la cultura vera, quella che parla agli animi, non quella miope che vede solo l’interesse personale di chi decide e dispone. Nei periodi bui è fondamentale, per riformare un tessuto sociale le cui maglie si sono allentate e dove si possono formare buchi. Un modo efficace ed empatico per creare vicinanza, ispirare appartenenza. Per quanto riguarda i diritti degli attori, invece, non direi che siano lesi, disattesi e vituperati, direi che semplicemente non esistono, perché, anche se paradossale, non esistiamo come categoria. Un esempio su tutti che può essere emblematico: in Italia un film da protagonista si gira, in media, in 20 giornate contributive, perché le prove costumi, i viaggi, i provini, le prove memoria, lo studio della memoria, ecc. non vengono calcolati, perché non esiste un contratto nazionale per l’audiovisivo. Sai quante giornate contributive servono per Avere la disoccupazione? 78. Un attore e un’attrice, cioè, per avere la disoccupazione devono aver fatto 4 film da protagonista nell’anno precedente o 10 da comprimario o innumerevoli in ruoli minori. Chi pure avesse fatto quei numeri avrà decisamente guadagnato più del massimo che consente di avere la disoccupazione. Un anno contributivo valido ai fini pensionistici, invece, è di ben 120 giornate contributive. Quindi per avere la pensione, un attore e un’attrice devono fare in media 6 film da protagonista l’anno per 20 anni. In quanti possono permettersi di maturare quei numeri? Col teatro è un po’ più facile. Ma solo per quei pochi che hanno la fortuna, ad oggi, di fare ancora delle lunghe tournée, cioè una piccolissima parte dei professionisti, che, comunque, molto probabilmente andranno in pensione, se mai ci andranno, con la minima.
Non amerei propormi come volano di niente, avrei preferito trovarmi già in una categoria riconosciuta e tutelata, come i colleghi Europei, per dedicarmi magari a qualcosa che mi è Più consono. Tuttavia, quello che siamo riusciti a “ottenere”, per ora solo sulla carta e ancora solo come proposta di legge, è stato solo grazie all’unione e alla condivisione di tutti. In questo un ringraziamento va anche agli attori più conosciuti, che si sono interessati e sono venuti in soccorso dei colleghi meno fortunati, anche se il salvataggio è ancora lontano. Del resto non ci siamo inventati niente: i primi a parlare, già intorno al 1960, della necessità di una definizione per la categoria degli attori sono stati Eduardo De Filippo, Gino Cervi, Enrico Maria Salerno, Tonino Pavan, Ivo Garrani. C’è addirittura una Risoluzione europea che dal 7 giugno 2007 sollecita gli Stati membri a creare registri di categoria per gli artisti, ma come Al solito in Italia siamo molto in ritardo. La pandemia ci ha dato modo di fare una profonda riflessione, abbiamo messo le Nostre forze in gioco, ma la partita è ancora aperta ed è ancora Urgente la necessità di aiuto agli artisti, così come per tutte le persone in difficoltà. L’obbligo di distanziamento riduce non solo il pubblico, ma anche la fiducia di tutti nel futuro prossimo. La vicinanza emotiva della cultura è necessaria e imprescindibile per evitare l’imbarbarimento, insieme all’aiuto dello Stato a tutti i Cittadini più bisognosi. Coraggio, Italia! Paese pieno di risorse.