Il reato di peculato nella professione medica
27 Febbraio 2020Incorre in questa fattispecie il professionista che, esercitando attività intramuraria, ometta poi di versare il dovuto alle Aziende sanitarie di appartenenza.
La Suprema Corte di Cassazione, sezione sesta penale, con sentenza recente numero 40908 ha statuito che integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni eseguite, ometta poi di versare all’Azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene.
In tal senso, anche la Corte dei Conti ha più volte attribuito al medico che opera in regime di intramoenia la veste di “agente contabile” con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che egli maneggia che di custodirli e restituirli.
In pratica, gli importi che vengono corrisposti al sanitario nell’esercizio di attività svolta in intramoenia acquistano natura pubblica, in virtù della convenzione siglata tra la stessa Azienda sanitaria ed il medico dipendente. In tale contesto, la Suprema Corte ha affermato il principio in virtù del quale chiunque maneggia importi che hanno natura pubblica ha il generale obbligo di rendicontare o giustificare i relativi movimenti secondo le precipue finalità istituzionali. Obbligo che non comporta ovviamente l’applicazione di un unico modello di disciplina ed organizzazione della spesa pubblica, risultando comunque incompatibile con la Costituzione l’ipotesi di un potere di maneggio di denaro pubblico sottratto ad ogni tipo di controllo – di natura amministrativa o giurisdizionale – esterno a chi concretamente ne dispone.
Da tale ultima premessa i Supremi Giudici hanno affermato il principio di diritto che costituisce delitto di peculato l’utilizzazione di danaro pubblico, quando non si dia giustificazione certa – secondo le norme generali della contabilità pubblica ovvero quelle derogative previste dalla legge nella singola fattispecie – del loro impiego, in caso di incameramento delle somme.
Continua sempre la Corte in detta Sentenza che in base al Regio Decreto 18 novembre 1923 numero 2440 articolo 74 che gli agenti incaricati della riscossione delle entrate e dell’esecuzione dei pagamenti delle spese, o che ricavano somme dovute allo Stato ed altre delle quali lo Stato diventa debitore o hanno maneggio qualsiasi di danaro nonché coloro che si ingeriscono negli incarichi attribuiti a detti agenti, dipendono direttamente, a seconda dei rispettivi servizi, dalle amministrazioni centrali o periferiche dello Stato, alle quali debbono rendere il conto della gestione e, sono sottoposti alla vigilanza del Ministero del tesoro, oggi dell’Economia, ed alla Giurisdizione della Corte dei Conti. In tal senso, la Magistratura contabile ha più volte attribuito al medico che opera in regime di intramoenia la veste di “agente contabile” con conseguente obbligo sia di dover rendere conto dei valori che lo stesso maneggia che di custodirli e restituirli. Questo poiché gli importi corrisposti al sanitario nell’esercizio di attività intramoenia acquistano, infatti, natura pubblica, in virtù della convenzione siglata tra la Azienda sanitaria ed il medico dipendente.
Ed è per tali motivi che la Corte di Cassazione ha ormai affermato in maniera consolidata che integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni eseguite, ometta poi di versare all’Azienda Sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene.