Il sonno della ragione…
27 Settembre 2019Sul perché e cosa possa spingere un essere umano a compiere delitti di inaudita violenza su bambini abbiamo parlato con un il professore Aureliano Pacciolla.
Lunedì prossimo dinanzi alla Corte d’Assise di Napoli inizia il processo a carico di Valentina Casa ritenuta complice del compagno, Tony Essobti Badre nell’omicidio del piccolo Giuseppe, uno dei tre figli della donna avuti dal primo matrimonio con Fabrizio Dorice. Un delitto terribile, una violenza inaudita ai danni di un minore indifeso, una terribile esclalation di violenze continue perpetrate anche a danno delle altre due figliolette, segnalate in drammatico e colpevole ritardo dalle insegnanti della scuola di Crispano che frequentavano (sono state sospese dal Ministero insieme alla dirigente scolastica) dopo il trasferimento di Valentina Casa dalla natia Massa Lubrense, a Cardito, per vivere insieme al nuovo compagno. Il trasferimento di Valentina avviene a giugno 2018, dopo aver conosciuto il “folle picchiatore” dei suoi figli in un mercatino rionale della penisola sorrentina.
Fino ad allora lavorava, con regolare contratto, presso una signora di Sorrento a cui era stata “raccomandata” da un sacerdote, che si occupava spesso anche del piccolo Giuseppe che aveva bisogno di sedute di locopedia, mentre a casa una zia nubile dava piena assistenza ai bambini, così come il servizio sociale del Comune. Una vita apparentemente normale, in un ambiente protetto come sono quelli delle piccole comunità. Poi la decisione di andare via, di seguire il carnefice dei suoi figli di cui era innamorata, a Cardito dove l’uomo vive con i suoi familiari. I contatti “ufficiali” vengono recisi. Perde il lavoro, i contatti telefonici con la signora di Sorrento diventano rari, la comunità locale quasi la dimentica, finanche il sacerdote sembra disinteressarsi della vicenda tanto da apprendere la notizia del delitto dalla televisione. Di un’eventuale interessamento dei servizi sociali del comune di Cardito nulla ci è dato di sapere. Sul perché e cosa possa spingere un essere umano a compiere delitti di inaudita violenza su bambini ne abbiamo parlato con un il professore Aureliano Pacciolla già docente di Psicologia della Personalità alla Lumsa di Roma, criminologo.
“I casi di Bambini picchiati dal compagno della madre sono caratterizzati da un senso di estraneità da parte dell’adulto: si tratta di una delle tante forme di mancanza di empatia. Nella maggioranza dei casi questa violenza è indiscriminata: per figli e figliastri. Il problema psicologico di questo uomini è quello di non percepire il bambino come fragile ma come una minaccia o un avversario. Questo tipo di aggressività è prevalentemente maschile in tutto il mondo ma vi sono anche casi di donne, spesso, in preda a sostanze tossiche. Spesso i casi di violenza grave da parte di genitori sui bambini sono conosciuti anche dal vicinato o da persone che ruotano intorno ai bambini: parroci, maestri o allenatori. Questi adulti che sanno o sospettano le violenze in famiglia, spesso seguono il principio “non impicciarsi dei fatti degli altri “. In troppe parti delle nostre società si prova difficoltà ad accettare ogni bambino come il cuore del bene comune e, quindi, il dovere di tutti nel proteggere i minori da qualunque cosa che possa impedire una crescita sana. Spesso si pensa che per tutelare sé stessi è meglio non denunciare sospetti di abusi (di qualunque tipo). Non si pensa che quel bambino/a un giorno potrà dire: “tu sapevi eppure non hai fatto nulla”. Anche nei casi in cui il bambino di punto in bianco non si fa più vedere non c’è un interessamento. Magari potrebbe persino costituire un problema di coscienza in meno.
Anche in questi casi, è la mancanza di empatia che permette questa indifferenza o superficialità. Si pensa più alle conseguenze su sé stessi da cui bisogna proteggersi che non alle conseguenze sul bambino che resta sempre più vulnerabile.
Questa indifferenza e superficialità si può manifestare in modo ancora più evidente e ancora più grave nelle istituzioni; servizi sociali che sanno ma non intervengono. Singolarmente ognuno ha i suoi buoni motivi per respingere le proprie responsabilità ma, di fatto, da un punto di vista psicologico si tratta della stessa caratteristica con la quale abbiamo iniziato questa riflessione: senso di estraneità e mancanza di empatia.
Una delle definizioni di empatia è proprio “la capacità di mettersi nei panni dell’altro”; oppure “la capacità di osservare il problema dal punto di vista del problematico”. La persona non empatica è “auto-centrati”; ossia, centrata sui propri interessi, bisogni e diritti. Tutti nasciamo autocentrati. Crescere è imparare l’empatia con una finalità pro-sociale; ossia in direzione del bene comune. Tutta la pedagogia, di qualunque forma e in qualunque contesto dovrebbe essere un accompagnamento lungo il percorso che va dall’auto-centrismo all’empatia verso l’altro e verso il bene comune”.