
Il vicolo cieco della devoluzione sanitaria
23 Marzo 2025C’era un vicolo cieco, il cui occhio spento aveva i contorni di una mezzaluna. Un mondo di duemila palazzi con le finestre cariate dal tempo e dall’incuria. Sui cornicioni un esercito di colombi dai suoni gutturali e dai bisogni facili. Fabbriche dismesse, alte ciminiere che sembravano toccare il cielo, sbuffi d’ovatta che volavano e tagliavano il respiro con i loro veleni. Era la rappresentazione della noia post-moderna, abitata da un popolo di formiche infilate come una sequenza di cattivi pensieri. Al Sud l’Ilva di Taranto era precipitata a causa di una politica di Orazi e Curiazi che giocavano a morra cinese alla ricerca del colpo vincente, della colpa dell’altro e guadagnare un voto in più. Sul palcoscenico, gli asini volanti come droni spiavano un mosaico di bambini inquinati, tumori oscurati, fallimenti industriali, abili prestigiatori, persone in fuga dalla loro terra avvelenata.
“Mose” chiese Giuseppe, un ragazzo fresco di catechismo vedendo l’acqua alta a Venezia e San Marco che nuotava con il salvagente degli emigranti. “Mose divise le acque salvando un popolo come racconta fra Pappina?”. Sentendosi chiamato in causa da questo interrogativo rispose direttamente Dio:” Giuseppe” disse “quello di fra Pappina è un Mosè con l’accento sulla e…, l’altro non è una mia creatura ma, è stato per molti, un bancomat”.
Alle ore venti le strade erano frequentate da ombre vaganti. Si svuotavano di uomini e cose. Si riunivano le famiglie meridionali. Famiglie per modo di dire perché composte, quasi interamente, da persone anziane. Dei giovani non c’era più traccia, non c’era più vita ma il ricordo della loro partenza.
Alle ore venti iniziava il solito spettacolo. Veniva servito una sequenza drogata e accattivante sul piccolo schermo. Dieci milioni di telespettatori erano risucchiati nel vortice della trascendenza nel tentativo di scoprire le verità nascoste” Poteri occulti…” ma capirono soltanto che non dovevano capire. Tutto si concludeva nel peggiore dei modi. Il salotto politico era i una miscela esplosiva di immagini, scontri verbali, gesti, un caos totale e coinvolgente che non risparmiava nessuno. Parole strane tracciavano il firmamento di oscuri presagi al grido “Capra capra” e “Bau bau ”.
Si aggiungevano a parole adoperate come clava: devolution, savings on medical care, mission. Improvvisa una voce gridò nell’oscurità sorprendendo il vicolo che ne assorbi il suono: “Non è cosa buona quando si parla in una lingua straniera per non farci capire. Sarebbe stato opportuno rendere tutto diversamente comprensibile dopo averlo impalmato del suono tragico delle storie dei pupari siciliani, di Portello della Ginestra e dei pensionati sociali”. Il nonno reduce da due guerre mondiali, incazzato nero, chiuse l’apparecchio acustico.
È in atto un processo di devoluzione sanitaria, un vicolo cieco senza la prospettiva di un federalismo solidale da tutelare come patrimonio di civiltà. Un federalismo capace di garantire livelli adeguati, uniformi di assistenza e opportunità senza discriminazione o privilegio di aree geografiche. La preoccupazione è nella tenuta di uno stato sociale e di una volontà comune di investire le risorse in un sentimento di reale sollecitudine, soprattutto, per i più fragili.