Carenza vitamina D , impatto in gravidanza e nell’allattamento

Carenza vitamina D , impatto in gravidanza e nell’allattamento

13 Dicembre 2024 Off Di La Redazione

La revisione della letteratura pubblicata nel 2023 (Durá-Travé T, Gallinas-Victoriano F. Int J Mol Sci 2023) prende in esame il metabolismo della vitamina D in gravidanza e allattamento, la prevalenza dell’ipovitaminosi D e le conseguenze che essa determina nella madre e nel feto. «Vengono fornite altresì indicazioni sull’eventuale necessità di supplementazione vitaminica, sia alle madri durante il periodo di gravidanza e allattamento, che ai neonati» specificano Alfredo Scillitani e Vincenzo Carnevale, Fondazione Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, IRCCS, San Giovanni Rotondo (FG). «Il principale messaggio trasmesso è che le donne in gravidanza e durante l’allattamento sono esposte al rischio di avere un deficit di vitamina D, con le relative conseguenze sulla gestazione e sulla salute del neonato» commentano Scillitani e Carnevale.

«Il precursore della vitamina D nell’organismo umano è prodotto dalla cute attraverso la conversione del 7-deidro colesterolo a pre-vitamina D3 e quindi a vitamina D3 (colecalciferolo), indotta dall’esposizione ai raggi ultravioletti di tipo B» proseguono gli specialisti. «Tale produzione endogena assicura l’80-90% dell’apporto, mentre il restante 10-20% è ottenuto da alimenti di origine animale (colecalciferolo) o vegetale (ergocalciferolo). Tanto il colecalciferolo, endogeno o esogeno, quanto l’ergocalciferolo, sono in gran parte veicolati per via ematica attraverso il legame con una specifica proteina di trasporto, la Vitamin D-Binding Protein (VDBP) e nel fegato vengono idrossilati in posizione 25 dall’enzima CYP2R1» continuano Scillitani e Carnevale. «La 25OH-vitamina D (25OHD o calcifediolo) è quindi rilasciata in circolo e a livello dei tubuli renali subisce un’ulteriore idrossilazione in posizione 1α da parte dell’enzima CYP27B1, che la trasforma in 1,25-diidrossi-vitamina D [1,25(OH)2D o calcitriolo], che è la forma biologicamente attiva. Quest’ultima è in grado di interagire con un recettore specifico, il Vitamin D Receptor (VDR), che è un fattore di trascrizione nucleare. L’interazione fra calcitriolo e VDR modula la trascrizione di diversi geni».

«L’inattivazione di 25OHD e 1,25(OH)2D avviene tramite l’idrossilazione in posizione 24 operata dall’enzima CYP24A1» riportano gli esperti. «Il patrimonio di vitamina D dell’organismo, definito “stato vitaminico D”, può essere stimato dalla misurazione della concentrazione serica della 25OHD, la cui emivita è di 2-3 settimane, mentre l’emivita del metabolita attivo (calcitriolo) è di sole 4 ore» sottolineano Scillitani e Carnevale. «In rapporto a tale dosaggio, secondo molti autori il livello serico di 25OHD è definito sufficiente se ≥ 30 ng/mL, insufficiente tra 20 e 29 ng/mL, deficitario se < 20 ng/mL».

«Il metabolismo della vitamina D in gravidanza presenta alcune peculiarità» osservano gli esperti. «Dato che l’unica fonte di vitamina D per il feto è quella materna, i feti e i neonati la cui madre abbia un deficit di vitamina D ne risulteranno anch’essi carenti. Tanto sul versante materno che su quello fetale della placenta sono presenti sia il VDR che l’enzima CYP27B1 (che converte la 25OHD a calcitriolo)» proseguono gli specialisti. «La placenta ha quindi un ruolo centrale per il metabolismo e il rilascio di vitamina D al feto, poiché il calcitriolo non attraversa la barriera placentare».

«Le principali modificazioni del metabolismo della vitamina D in corso di gravidanza sono rappresentate dal progressivo aumento dei livelli serici materni di calcitriolo e VDBP, dalla riduzione del catabolismo del calcitriolo e dall’incremento dell’attività della CYP27B1 materna a livello renale e placentare» spiegano gli specialisti. «Alla fine del I trimestre i livelli di calcitriolo si triplicano rispetto a quelli presenti prima della gravidanza, sia per l’aumentata attività renale che per il contributo placentare del CYP27B1» riportano Scillitani e Carnevale. «Tali livelli di calcitriolo potenziano l’assorbimento intestinale materno di calcio, che attraversa la placenta e mineralizza lo scheletro del feto senza portare a variazioni della calcemia (come avverrebbe fuori dalla gravidanza)».

«La gravidanza induce un riassestamento fisiologico, per cui i livelli di calcitriolo dipendono essenzialmente dalla disponibilità di 25OHD, anziché dagli altri fattori che ordinariamente regolano l’omeostasi del calcio» osservano Scillitani e Carnevale. «I livelli ematici materni di calcitriolo aumentano progressivamente con l’aumento di quelli di 25OHD, fino a che quest’ultima raggiunge 40 ng/mL. Oltre tale concentrazione del precursore, i livelli di calcitriolo si mantengono costanti, benché a livelli comunemente considerati sovra-fisiologici, il che suggerisce che siano necessari almeno 40 ng/mL di 25OHD per ottimizzare la produzione materna (renale e placentare) di calcitriolo».

«Dalla formazione della placenta (ossia dalla IV settimana di gravidanza) al parto i livelli di 25OHD serici fetali o ombelicali correlano con quelli materni, dato che la 25OHD è in grado di attraversare la placenta, a differenza del calcitriolo» osservano gli esperti. «Nel feto la concentrazione di calcitriolo dipende quindi dall’attività enzimatica fetale della CYP27B1 renale e placentare» proseguono gli specialisti. «Mentre in condizioni ordinarie il calcitriolo regola il proprio catabolismo attraverso l’aumento dell’attività dell’enzima CYP24A1 e l’inibizione della CYP27B1, durante la gravidanza il catabolismo del calcitriolo è inibito attraverso la metilazione del gene che codifica l’attività della CYP24A1».

«La prevalenza del deficit di vitamina D rilevata in corso di gravidanza e allattamento è compresa tra il 24% e il 77% nei paesi occidentali e tra il 46% e il 97% in quelli asiatici/africani» riferiscono gli specialisti. «Tale prevalenza risente di svariati fattori, quali etnia, ambito socio-culturale, abbigliamento, esposizione solare, ecc. Il deficit di vitamina D in gravidanza appare associato a difficoltà di impianto dell’embrione e aborti ricorrenti, nonché ad aumentata prevalenza di ipertensione gestazionale, pre-eclampsia, diabete gestazionale, prematurità e ritardo di crescita intra-uterina.

Inoltre, interferendo con il cosiddetto fetal programming, il deficit vitaminico sembra poter determinare effetti a lungo termine sulla mineralizzazione, alterazioni della composizione corporea, asma bronchiale, malattie autoimmuni e malattie della neuro-differenziazione neonatale» continuano gli esperti. «Non c’è tuttora accordo sulla necessità di supplementare la vitamina D in gravidanza e, anche fra coloro che sono favorevoli, persistono controversie sulla fase gravidica, sul dosaggio e sull’indicazione selettiva o generalizzata alla supplementazione» commentano Scillitani e Carnevale. «Chi non opta per la supplementazione o sceglie soluzioni più moderate, come suggerire esposizione al sole e/o assunzione di cibi fortificati con vitamina D, sottolinea le attuali incertezze sul metabolismo della vitamina D in gravidanza. Ad esempio, i livelli di calcitriolo raggiunti nel corso della gestazione (fino a 300 pg/mL) sono chiaramente sovra-fisiologici rispetto a quelli di una donna non gravida, che per concentrazioni ≥ 80 pg/mL potrebbe presentare grave ipercalcemia».

«D’altra parte, recenti studi suggeriscono di mantenere livelli serici di vitamina D sufficienti nel primo trimestre di gravidanza o addirittura prima del concepimento, al fine di ridurre il rischio di difficoltà di impianto dell’embrione» continuano Scillitani e Carnevale. «Inoltre, una meta-analisi della Cochrane Library ha dimostrato come la supplementazione di colecalciferolo riduca il rischio di pre-eclampsia materna, prematurità e ritardo di crescita intra-uterina» riportano gli esperti. «In tal senso si rammenti come i livelli serici fetali e neonatali di 25OHD correlino direttamente con quelli materni» osservano Scillitani e Carnevale.

«Tuttavia, non vi è ancora accordo sulla dose di vitamina D da somministrare alla madre per raggiungere la concentrazione serica di 25OHD di 40 ng/mL, necessaria per ottimizzare i livelli di calcitriolo in gravidanza» proseguono gli esperti. «A tal fine il dosaggio di 600 U/die raccomandato dallo IOM risulta largamente insufficiente, mentre la supplementazione quotidiana di 2000 o 4000 U di colecalciferolo appare in grado di determinare livelli serici materni di 25OHD > 30 e > 40 ng/mL, rispettivamente, in assenza di effetti collaterali quali ipercalcemia e/o ipercalciuria».

«Il feto non è in grado di sintetizzare vitamina D e acquisisce la 25OHD dalla madre» spiegano gli esperti. «Nel neonato la carenza di vitamina D, oltre alle manifestazioni di rachitismo, sembra associarsi a infezioni del tratto respiratorio inferiore e di altre sedi (tratto urinario, orecchio medio), sepsi e anche a COVID-19. Si è pertanto ipotizzato che la supplementazione del neonato possa avere un effetto sinergico con l’allattamento materno nella prevenzione delle malattie infettive infantili».

«La concentrazione di vitamina D nel latte materno è abbastanza stabile e dipende dallo stato vitaminico D della madre (e pertanto da eventuali supplementazioni in corso di allattamento)» osservano Scillitani e Carnevale. «Il contenuto medio di vitamina D nel latte materno, con ovvie differenze legate alle diversità etniche/culturali/stagionali, è attorno a 45 UI/L, quindi inadeguato a soddisfare le richieste di 400 UI/die nel primo anno di vita».

«Secondo alcuni studi, supplementando le madri con 6000-6400 UI/die di vitamina D si raggiunge una concentrazione nel latte materno > 800 UI/L» riferiscono gli specialisti. «L’Endocrine Society raccomanda di assumere una dose quotidiana di 1500-2000 UI di vitamina D in corso di allattamento e, qualora tale dosaggio non consentisse di assicurare al neonato 400 UI/die di vitamina D, di aumentare il dosaggio fino a 4000-6000 UI/die. Peraltro, la recente linea guida dell’Endocrine Society sulla vitamina D nella prevenzione delle malattie riporta che gli studi clinici avevano utilizzato un dosaggio medio di 2500 UI/die per ridurre il rischio delle malattie sopra-riportate associate alla carenza di vitamina D in gravidanza (Demay MB, et al. J Clin Endocrinol Metab 2024)» commentano Scillitani e Carnevale.

«Il patrimonio vitaminico D conseguito nel corso della gravidanza si esaurisce dopo la 6 a-8a settimana di vita, cosicché nel neonato le uniche fonti naturali di vitamina D divengono l’allattamento al seno e l’eventuale esposizione al sole» osservano gli esperti. «Poiché l’esposizione diretta alla luce solare non è raccomandata nei primi sei mesi di vita, il solo allattamento materno (in assenza di supplementazione) comporta elevata prevalenza del deficit di vitamina D, stimato pari al 67% in Giappone e fino al 92% negli Emirati Arabi» riportano Scillitani e Carnevale. «C’è quindi ormai generale accordo sulla necessità di somministrare una dose profilattica quotidiana di colecalciferolo ai neonati fino ad un anno di età» continuano gli specialisti. «Tale obiettivo può essere raggiunto somministrando supplementi di 400 UI/die al neonato, oppure dosi molto alte alla madre che allatta (senza alcuna supplementazione al neonato). Quest’ultima modalità, sebbene non risulti associata a effetti indesiderati, è oggi poco utilizzata» commentano Scillitani e Carnevale. «Sono stati anche suggeriti schemi misti, come la supplementazione intermittente a madre e figlio» aggiungono.

«Il deficit di vitamina D ha particolare rilevanza in gravidanza e allattamento per le potenziali conseguenze materno fetali» riepilogano gli esperti. «Il metabolismo vitaminico D si modifica in maniera ancora non del tutto chiarita in gravidanza. L’apporto di vitamina D con il latte materno è insufficiente per assicurare le necessità del neonato, per cui le Società Scientifiche raccomandano nei primi 12 mesi di vita la supplementazione orale di 400 UI/die di colecalciferolo o, in alternativa, la somministrazione di ingenti dosi di vitamina D alle madri che allattano» concludono Scillitani e Carnevale.

 

 

 

 

Fonte: https://www.doctor33.it/articolo/63026/impatto-della-carenza-di-vitamina-d-durante-la-gravidanza-e-lallattamento