In caso di danni derivanti da imperizia del medico lo stesso non risponde della complessiva patologia finale…
17 Settembre 2020La Suprema Corte di Cassazione con recentissima Ordinanza recante numero 17689 del 2020 ha sostenuto che se la condotta imperita dei medici è solo uno dei possibili fattori scatenanti, pertanto i sanitari non sono tenuti a rispondere dell’intero danno. Quando il medico nello svolgimento della propria attività commette imperizia, è pacifico che sia tenuto a risarcire i danni derivanti da tale imperizia. Trattasi di un assunto certo rispetto al quale però, la Suprema Corte di Cassazione, con la sopra citata Ordinanza ha provveduto, implicitamente, a fare una precisazione in più. Nel caso esaminato, infatti, confermando le conclusioni alle quali era giunto il Giudice del merito, la Corte ha, infatti, escluso che sussista il nesso causale tra una singola attività professionale e la complessiva finale patologia che residua al paziente e che è caratterizzata da una eziopatologia multifattoriale ovvero risulta essere derivata da molteplici fattori predisponenti e perpetuanti.
In altri termini, non potrà affermarsi la sussistenza di un collegamento causale tra la condotta dei sanitari ed i danni permanenti rispetto ai quali il trattamento imperito del medico si è posto solo come uno dei possibili fattori scatenanti. In tali ipotesi, dunque, il nesso causale non va escluso in assoluto ma limitatamente allo stato patologico complessivamente residuato, per essere riconosciuto almeno per l’inabilità temporanea causata dall’erogazione di terapie inutili o inadeguate.
Nell’ipotesi esaminata, in sostanza, i Giudici della Suprema Corte di Cassazione, visto che era stata contestata una protratta ed imperita terapia riabilitativa, non hanno riconosciuto, di fatto i danni permanenti diversi ed ulteriori rispetto alla patologia durante tale terapia.