In Italia, medici anziani e troppi antibiotici
10 Novembre 2019Il rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza europea (Ocse) descrive un quadro preoccupante per il futuro dell’assistenza sanitaria.
Aumento della popolazione anziana e, naturalmente delle cronicità legate all’aumento dell’età. Di contro medici che cessano dall’attività e che non sono adeguatamente sostituiti. Sono problemi comuni a tutti i paesi sviluppati ma che assumono rilievo particolare nel secondo Paese più anziano del mondo.
Non solo. Il problema in Italia riveste carattere di emergenza perché da noi la fascia d’età over 55 dei medici è stata già raggiunta in questi anni. Lo afferma l’Ocse nel rapporto ‘Health at a Glance 2019’ su dati relativi ai trend dal 2000 al 2017. Due anni fa, oltre un terzo di tutti i medici dei paesi Ocse aveva più di 55 anni, rispetto a un quinto nel 2000. Ma i paesi anglosassoni e scandinavi hanno visto solo un piccolo aumento, in genere sotto il 5%, in Italia, la percentuale di medici più anziani è aumentata del 36%, portando al 55% la forza lavoro medica con età pari o superiore a 55 anni, contro una media Ocse del 34%, e facendo presagire l’aggravamento degli anni successivi che in effetti si va verificando.
L’anzianità dei nostri medici spiega perché sia percepito “male” uno stipendio mensile medio di 2500 euro per gli specialisti dipendenti – non è presente il dato dei medici “generalisti”- pur superiore alla media francese e spagnola, anche se inglesi e tedeschi pari grado distano rispettivamente 800 e 1000 euro.
Altro dato preoccupante, che riguarda la pratica medica: usiamo molti più antibiotici del resto d’Europa ed è difficile dimostrare che le infezioni siano di più. La prescrizione sul territorio supera di oltre il 50% la media Ocse. Nel 2017 in Italia il volume totale di antibiotici prescritti nelle cure primarie era di 28 dosi giornaliere per 1.000 abitanti, il secondo più alto dopo la Grecia, che però ha un quarto della nostra popolazione. Il nostro Paese ha inoltre tassi di infezione associati all’assistenza sanitaria (Iaas) superiori alla media, con quasi il 6% dei pazienti ospedalizzati che hanno almeno una infezione ospedaliera.
I nostri medici sono bravi, come dimostrano i numeri su morbilità e mortalità citati più avanti: la qualità dei professionisti contribuisce a fare dell’Italia un paese longevo, al 4°posto dopo Giappone, Svizzera e Spagna per aspettativa di vita con 83 anni alla nascita. Purtroppo, nel 2017 si è vissuti 7 mesi in meno dell’anno prima, in media, e 6 in Germania: l’ipotesi è che l’influenza colpisca più duramente i pazienti cronici e debilitati. Meno del 6% degli italiani valuta la propria salute ‘non buona’, rispetto a una media Ocse dell’8,7%.
L’Alzheimer è la terza malattia mortale (9% di tutte le condizioni patologiche alla morte) dopo malattie cardiovascolari (31%) e tumori (25%); per questi ultimi, volendo indicizzare un rapporto tra mortalità e incidenza, l’Italia è nella decina dei paesi dove si muore relativamente meno. Fronteggiamo peggio la demenza, malattia età-dipendente: l’Italia è seconda per diffusione dopo il Giappone (23 per 1.000 abitanti), e segue la Germania staccata; ma analizzando i trend di invecchiamento, e atteso che sia legato alla malattia, di qui al 2050 potrebbero sopravanzarla tre paesi mediterranei – Portogallo, Spagna e Grecia – e la Sud Corea.
Nel 2017 l’Italia ha speso meno dello 0,6% del Pil per assistenza a lungo termine e abbiamo il quinto numero più basso di posti letto ma un 40% di intervistati su campioni di over 65 che si sentono limitati nella vita quotidiana rispetto al 32% della media dei paesi Ocse, dato in controtendenza rispetto alla popolazione generale: in Nordeuropa e Spagna l’anziano sta meglio. Il 63,5% dei nostri non autosufficienti è assistito da figure femminili, in genere badanti ma al 2050, quando gli over 65 da noi saranno un terzo della popolazione – ora sono il 22,5% – anche loro saranno invecchiate. Serve un investimento per mantenere alto il numero di operatori, anche se non siamo messi peggio di tutti. Nel 2050 la Corea del Sud, oggi decisamente più giovane, sfiorerà il 40% di prevalenza di over 65 e saremo preceduti in “vecchiaia” da Giappone, Grecia, Portogallo anche nella fascia sopra gli 80 anni, ancor più legata a disabilità.