Inibitori di pompa, cautela in pazienti con diabete di tipo 2 per rischio cardiovascolare
3 Ottobre 2023Negli ultimi 10 anni diversi studi osservazionali hanno evidenziato l’associazione tra l’uso di inibitori di pompa protonica (Ppi) e aumentato rischio di eventi cardio-vascolari e mortalità in pazienti con malattia cardio-vascolare (Cvd) pregressa, dovuto alla loro competizione con il clopidogrel sulla via di segnale del citocromo p450. Un recente studio mette in relazione l’assunzione di Ppi con un aumento del rischio di sviluppare Cvd e aumento di mortalità per tutte le cause nei pazienti con diabete mellito 2 (Dm2).
Lo studio prospettico di coorte aveva come obiettivo quello di «analizzare l’associazione tra Ppi e rischio di malattia coronarica (Cad), infarto miocardico (Mi), insufficienza cardiaca (Hf), ictus e mortalità per tutte le cause nei pazienti con Dm2 inseriti nella Uk Biobank. Quest’ultima è un’ampia coorte britannica, che comprende più di 500.000 soggetti di età compresa tra 37 e 73 anni, reclutati tra marzo 2006 e ottobre 2010. L’outcome primario era l’associazione tra uso di Ppi e sviluppo di Cad, Mi, Hf e ictus. L’outcome secondario era l’associazione tra uso di PPI e mortalità per tutte le cause» riporta Giacomo Accardo, endocrinologo.
Aggiunge lo specialista: «Sono stati inclusi 19 229 pazienti con diagnosi di Dm2, (età media 59.5 ± 7.0 anni, 59.5% di sesso maschile), dopo esclusione dei pazienti con pregressa diagnosi di Cad, Mi, Hf e ictus (ischemico o emorragico)».
Per l’analisi statistica, prosegue Accardo, «le differenze tra utilizzatori e non utilizzatori di Ppi al basale sono state esaminate tenendo conto dei seguenti modelli per aggiustare l’effetto di possibili confondenti:
a) modello 1, con aggiustamento dei dati per età e sesso;
b) modello 2: oltre all’aggiustamento per età e sesso, i dati venivano corretti per livello socio-culturale ed economico, Bmi, utilizzo di alcool, fumo di sigaretta, punteggio alimentare, durata del sonno, attività fisica, storia familiare di Cvd, ipertensione arteriosa, cancro, durata del diabete, livelli di HbA1c, uso di ipoglicemizzanti, anti-ipertensivi, ipocolesterolemizzanti, aspirina e clopidogrel;
c) modello 3: oltre ai precedenti aggiustamenti, i dati venivano corretti anche per la presenza di patologie gastro-intestinali per le quali era indicato l’uso di Ppi. In questo modello i dati venivano inoltre corretti per l’uso di antagonisti del recettore H2 (cimetidina, famotidina, nizatidina e ranitidina).
Questi i risultati. «Fra gli utilizzatori di Ppi erano più frequenti le seguenti caratteristiche: età più elevata, sesso femminile, etnia caucasica, minor livello socio-culturale, non fumatori e non bevitori, fisicamente poco attivi, utilizzatori di clopidogrel, anti-ipertensivi, ipocolesterolemizzanti e insulina, Bmi più elevato, più lunga durata del diabete, durata del sonno molto scarsa o molto prolungata (≤ 6 o ≥ 9 ore/die), Cvd, ipertensione, cancro e patologie per le quali era indicato l’uso di PPI» riferisce Accardo. «Durante un follow-up mediano di 10.9-11.2 anni sono stati documentati 2297 decessi, 2971 Cad, 1827 MI, 1192 HF, 738 ictus. Il tasso di incidenza (per 1000 persone/anno) negli utilizzatori di PPI rispetto ai non utilizzatori è stato di 20.5 vs 14.1 per Cad, 12.8 vs 8.3 per Mi, 8.4 vs 5.2 per Hf e 4.0 vs 3.5 per ictus». L’uso dei Ppi era significativamente associato al rischio di Cad, Mi e Hf quando l’elaborazione statistica era aggiustata per età e sesso, osserva lo specialista.
«Dopo aggiustamento per stile di vita e comorbilità (modello 2) e per patologie gastrointestinali con indicazione all’uso di PPI/antagonisti del recettore H2 (modello 3), il rischio stimato si attenuava ma rimaneva significativo» prosegue. «Nel modello 3, aggiustato per tutti i confondenti, gli Hr (IC 95%) per gli utilizzatori di Ppi erano 1.27 (1.15-1.40) per Cad, 1.34 (1.18-1.52) per Mi e 1.35 (1.16-1.57) per Hf, mentre non si riscontravano differenze significative per il rischio di ictus (Hr 1.11, IC 95% 0.90-1.36). Il tasso di mortalità (per 1000 persone/anno) era di 14.9 vs 10.5 nei due gruppi. È stata osservata un’associazione significativa tra uso di PPI e mortalità da tutte le cause (Hr 1.30, IC 95% 1.16-1.45) dopo aggiustamento per tutti i confondenti (modello 3). L’associazione con il rischio di Cad, Mi, Hf e mortalità da tutte le cause si manteneva significativa anche analizzando diversi sottotipi di Ppi, e anche dopo analisi di sensibilità: rispetto ai non utilizzatori, gli utilizzatori di Ppi avevano Hr (IC 95%) di 1.23 (1.08-1.40) per Cad, 1.30 (1.10-1.53) per Mi, 1.38 (1.13-1.69) per Hf e 1.43 (1.24-1.66) per mortalità». Inoltre, aggiunge l’esperto, l’uso di Ppi si confermava non associato ad aumentato rischio di ictus ischemico o emorragico o all’esito composito ictus/Tia».
È stata valutata l’associazione tra diversi sottotipi di Ppi (omeprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo e altri Ppi) e l’esito, per chiarire se l’effetto osservato fosse di classe o specifico per un determinato principio attivo. Per rafforzare i risultati dell’analisi statistica, è stata inoltre effettuata un’analisi di sensibilità, abbinando utilizzatori e non utilizzatori di Ppi (n = 3275 per ciascun gruppo) in un propensity score matching, che veniva calcolato attraverso un modello di regressione logistica che includeva le numerose covariate precedentemente citate. Gli utilizzatori e i non utilizzatori di Ppi venivano abbinati tra loro considerando quelli con caratteristiche più simili rispetto a tali covariate».
Questo studio ha dimostrato che l’uso dei Ppi nei diabetici si associa a maggior rischio di Cad, Mi, Hf e mortalità da tutte le cause, dichiara Accardo. «L’associazione persiste anche dopo correzione dei dati per gravità del diabete, tipo di ipoglicemizzante, uso di anti-aggreganti e indicazione all’uso di Ppi » fa notare.
La causa più probabile del ruolo dei Ppi nell’aumento del rischio di eventi Cv nei diabetici sembra l’alterazione del microbiota, con incremento dei microrganismi orali e riduzione della diversificazione del microbiota causata dall’incremento del pH gastrico, afferma Accardo.
E spiega: «Questa disbiosi comporterebbe un aumento del rischio di Cvd, promuovendo l’infiammazione e modificando la composizione delle lipoproteine e il metabolismo dei macro- e micronutrienti. Gli effetti risultano peraltro simili per differenti sottotipi di Ppi». Inoltre, aggiunge l’esperto, l’aumentato rischio Cv sarebbe legato anche all’interazione con gli anti-aggreganti. Ppi e clopidogrel condividono la stessa via metabolica tramite il citocromo p450 e anche l’effetto anti-aggregante può essere influenzato dall’uso dei Ppi. Tuttavia, saranno necessari ulteriori studi per chiarire il meccanismo.
In conclusione, dichiara Accardo, «lo studio dimostra che l’uso dei PPI è associato ad aumentato rischio di sviluppare Cvd e ad aumento di mortalità da tutte le cause nei pazienti con Dm2. Dato l’uso estremamente frequente di questa classe di farmaci, sembra quindi necessario un attento monitoraggio della funzione Cv nei pazienti con Dm2 che li assumono».