Italia, 6 milioni di malati renali ma mancano gli specialisti
24 Gennaio 2023Taglio dei posti letto ospedalieri per persone con malattie renali, pochissima dialisi al domicilio, nefrologi utilizzati per coprire turni in altri reparti, ambulatori nefrologici territoriali chiusi.
Tutto questo sta portando la cura delle malattie croniche dei reni ad essere un settore in sofferenza, in cui mancano almeno 350 specialisti, a causa di problemi di programmazione e blocco del turnover. Questo è il grido di allarme che arriva dai nefrologi, riuniti al convegno promosso dalla Fondazione Italiana del Rene (Fir), che ha visto a confronto clinici, amministratori e pazienti per fare il punto sulle sfide nel post pandemia.
Circa 6 milioni di persone in Italia soffrono di malattia renale e il loro numero cresce insieme all’aumento di ver 75 anni e alla diffusione di condizioni di rischio come ipertensione, obesità e diabete. “Un paziente seguito bene a livello ambulatoriale ha molte possibilità di prevenire o ritardare la dialisi e questo evita al malato il disagio di andare tre volte a settimana in ospedale per un ‘lavaggio del sangue’ e fa risparmiare risorse. Il paradosso è che oggi abbiamo farmaci che permettono di ritardare l’ingresso dei pazienti in dialisi, ma non abbiamo professionisti a sufficienza per seguirli”, spiega Massimo Morosetti, presidente Fir. Alla base, problemi di programmazione, di organizzazione e una scarsa attenzione al tema, schiacciato dalla pandemia. “Molti centri di dialisi – prosegue Morosetti – hanno difficoltà nel garantire le attività per mancanza di specialisti: abbiamo circa 2.800 nefrologi in servizio in Italia nella sanità pubblica, ne mancano almeno 350. Sono aumentate le borse di specializzazione ma i benefici li vedremo tra 4 anni, mentre nel frattempo vanno in pensione senza ricambio generazionale”. Stenta a prendere piede la dialisi a domicilio, che in Italia non supera il 10% a fronte del 40% di altri paesi, mentre Lazio è al 7%. “Farla a casa – spiega Roberto Costanzi, presidente Associazione Malati di Reni – permette al Servizio sanitario di risparmiare ma i contributi regionali per farla non bastano a coprire i costi sostenuti delle famiglie”.
Cnt, in Italia 2.000 trapianti rene l’anno, 6.500 in attesa
Nonostante il trapianto di reni porti a un risparmio di risorse rispetto alla dialisi, oltre a migliorare la qualità di vita dei pazienti, i tempi di attesa sono ancora molto lunghi. “In Italia la lista d’attesa per un rene include più o meno stabilmente 6.500 persone, e quindi i 2mila trapianti che riusciamo a fare ogni anno non soddisfano il fabbisogno per il trattamento delle insufficienze renali terminali”. Lo ha spiegato Massimo Cardillo, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti, intervenendo al convegno organizzato a Roma dalla Fondazione italiana del Rene (Fir). Due le strade da percorrere. “La prima – ha detto Cardillo – è quella di promuovere il più possibile la cultura della donazione, chiedendo ai cittadini di esprimere in vita il consenso al prelievo dopo la morte. In media oltre 30% di chi si esprime lo fa con una opposizione, e questo è un problema che si supera con la corretta informazione. La seconda strada è il trapianto di rene da donatore vivente, che deve diventare una soluzione di routine e, nei casi che lo consentono, la prima opzione per chi ancora non inizia la dialisi. Nel resto d’Europa ci sono Paesi che hanno raggiunto livelli ragguardevoli”. “Il Lazio ha una rete trapiantologica eccellente, ma il livello di donazioni è da migliorare: abbiamo un 33% di opposizioni, più alta della media nazionale”, ha spiegato Mariano Feccia, Direttore del Centro Regionale Trapianti Lazio. L’emodialisi dovrebbe essere il piano B rispetto al trapianto. “Ma il tempo medio prima di esser messo in lista d’attesa per ricevere un rene, in alcune regioni come il Lazio è di 12 mesi”, precisa Massimo Morosetti, presidente Fir. Dal punto di vista dell’assistenza, inoltre, conclude Morosetti, “manca in Italia la strutturazione e il riconoscimento di Reti regionali di Nefrologia per collegare i centri di dialisi con le strutture ospedaliere, nell’ottica di un’organizzazione hub and spoke, come per infarto e ictus. Questo percorso, ad oggi, è lasciato alla buona volontà del professionista”.