La carne in vitro, il cibo del futuro

La carne in vitro, il cibo del futuro

20 Agosto 2020 0 Di Luigi De Rosa

La coltivazione in vitro delle fibre muscolari è stata effettuata la prima volta nel 1971 da Russell Ross. Il risultato ottenuto dallo scienziato americano era un tessuto muscolare liscio derivato dal maiale.

 

 Giordano Bruno, come tutti sanno, si rifiutò di disconoscere l’infinità dell’universo, la sfericità della Terra, l’eliocentrismo, la mortalità dell’anima. Fu quindi legato a un palo, denudato, e dopo avere rinunciato ai sacramenti, fu arso vivo dopodiché le sue ceneri furono gettate nel Tevere. Quello che invece molti ignorano e che il filosofo nolano nei suoi trattati mostrò posizioni anti-speciste e visualizzò “un mondo dove uccidere gli animali per cibarsene sarebbe stato oggetto di disapprovazione sociale”. Ecco perché due professori associati dell’Università di Trento, Stefano Biressi e Luciano Conti, hanno chiamato la loro start up “Bruno Cell”. La “Bruno Cell” è la prima start up italiana focalizzata interamente sulla carne colturale, chiamata anche “carne pulita”, “carne anti-macellazione”, “carne coltivata”, “lab-meat” o anche “carne in vitro“. Si tratta dunque di carne artificiale prodotta in laboratorio da cellule animali estratte tramite biopsia. C’è chi scommette che quella in provetta sarà la carne del futuro. Soprattutto una soluzione per ovviare ai tanti problemi economici, etici e ambientali che pone la produzione di carne, la cui richiesta – secondo le stime della FAO – potrebbe crescere di più del 50% nei prossimi 30 anni, passando da 258 milioni di tonnellate nel 2005-2007 a 455 milioni di tonnellate nel 2050. La coltivazione in vitro delle fibre muscolari è stata effettuata la prima volta nel 1971 da Russell Ross. In particolare, il risultato ottenuto dallo scienziato americano era un tessuto muscolare liscio derivato dal maiale, e fatto crescere in coltura cellulare. La coltivazione in-vitro è iniziata negli anni novanta utilizzando le cellule staminali degli animali, includendo piccole quantità di tessuto che sarebbero potute essere in teoria cucinate e mangiate, così come poi accaduto in Olanda qualche tempo fa, ma i costi altissimi di produzione ne rendono ancora impossibile la commercializzazione su larga scala. La NASA è stata il primo grande ente a interessarsi all’argomento, producendo nel 2001 carne coltivata da cellule di tacchino. Il primo esempio commestibile è stato prodotto dallo NSR/Tuoro Applied BioScience Research Consortium nel 2002: cellule di pesce rosso fatte crescere fino a formare filetti di pesce. L’obiettivo dei due scienziati italiani del Dipartimento CIBIO dell’Università di Trento è fare in modo che la cultured meat divenga una risorsa economicamente sostenibile, tagliando gli alti costi della proliferazione cellulare. Per raggiungerlo, finanziano e gestiscono progetti di ricerca volti ad acquisire know how e a brevettare processi di proliferazione ottimizzati. La carne colturale al contrario di quella tradizionale abbatte l’emissione di gas serra, evita il consumo di suolo e la deforestazione, impatta meno su acqua e altre risorse alimentari, libera gli animali da trattamenti crudeli, garantisce un alimento privo di patogeni pericolosi per l’uomo, non usa antibiotici. Ci sono già molte aziende che se ne stanno occupando in tutto il mondo, ma non è ancora disponibile al largo pubblico perché coltivare le cellule, come ho accennato più volte, costa ancora troppo denaro. La”Bruno Cell” ha quest’obiettivo ambizioso rendere la cultured meat economicamente vantaggiosa in modo da convincere i consumatori ad acquistarla con sempre maggiore convinzione.