La Neurologia del “Vanvitelli”, fiore all’occhiello della sanità campana
17 Aprile 2022Il direttore dell’Unità operativa Complessa del Policlinico, Tedeschi: “Oggi sono diventate molto rare le forme di sclerosi multipla in cui la terapia è inefficace”.
La divisione neurologica dell’Ateneo vanvitelliano rappresenta da tempo un punto di riferimento importante per i pazienti, non solo campani, colpiti da affezioni che interessano la sfera cognitiva e del movimento. Alla guida del reparto il direttore Gioacchino Tedeschi che per anni ha presieduto la società italiana di Neurologia (SIN) nella quale oggi conserva l’incarico di past president. Tedeschi ha maturato diverse esperienze di prestigio in campo internazionale. Al suo attivo anche importanti pubblicazioni e studi a carattere scientifico.
Professor Tedeschi, c’è un preoccupante incremento delle malattie neurologiche, in Italia e nel Mondo. A lanciare l’allarme è anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che ritiene tale aumento attribuibile, in parte, all’invecchiamento della popolazione, in parte alla mancanza di trattamenti terapeutici risolutivi ed in parte alla scarsa efficacia di misure preventive. Sono solo queste le cause?
Il discorso va diversificato. Effettivamente, le malattie neurologiche degenerative sono aumentate perché si relazionano all’allungamento della vita media e, purtroppo, aumenteranno anche nel futuro. Sono legate, invece, alla maggiore accuratezza della diagnosi patologie quali la sclerosi multipla, ad esempio. Per quanto attiene all’ictus, infine, si può senz’altro affermare che, pur essendo diminuita l’incidenza, c’è al contempo un aumento della prevalenza perché le persone vengono curate meglio, per cui sopravvivono alla fase acuta cui segue un lungo periodo nel qual, chiaramente, vengono tenute in terapia costante.
Anche in Italia, le demenze non sfuggono a questa impennata, con l’Alzheimer, in particolare, che dai 205mila nuovi casi diagnosticati nel 2020 dovrebbe passare ai 288mila del 2040. Si tratta di un problema enorme che tocca non solo i pazienti ed il sistema sanitario ma anche le famiglie sulle quali grava un peso enorme.
Come evidenziato dal rapporto “Passi e Passi d’Argento 2020” dell’ISS, il 97% delle persone anziane con disabilità, dichiara di ricevere supporto dai propri familiari per le attività di vita quotidiana, per cui non è autonomo. Queste criticità sembrano essersi ulteriormente aggravate in corso di pandemia, in cui gli sforzi di contenimento della stessa hanno determinato una sospensione e rallentamento dell’assistenza formale in molte regioni italiane, con un peggioramento dei sintomi psico-comportamentali dei pazienti affetti da demenze, incremento del “burden” del caregiver/familiare e conseguente impatto negativo sul piano della relazione paziente-caregiver.
Ogni anno nel “Bel Paese” circa 200mila persone vengono colpite da insulti cerebrali, più o meno gravi e più o meno invalidanti. I trattamenti precoci, nelle primissime ore dell’insorgenza della patologia, risultano determinanti per il buon esito delle terapie. Esiste, a suo giudizio, una buona rete per la cura dell’ictus in regione Campania?
Purtroppo, in Campania non esiste ancora una rete efficace di centri per la cura dell’ictus (Stroke Unit). È un problema legato da una parte al numero esiguo delle Stroke Unit attive sul nostro territorio e dall’altra all’accessibilità a tali centri in un territorio come il nostro con annosi problemi di viabilità. Si tratta di fattori determinanti in una patologia in cui l’efficacia del trattamento è tempo dipendente. L’obiettivo del prossimo futuro dovrebbe essere il potenziamento della rete dei centri per la cura dell’ictus, che non può prescindere dalla rete del 118 per accelerare la formulazione, in primis del sospetto diagnostico e poi del trasporto presso la più vicina Stroke Unit.
Per le malattie neurologiche degenerative (Sclerosi multipla, Sla, Parkinson) ancora non si intravvede un approccio terapeutico risolutivo. Come mai, nonostante i progressi che pure si sono avuti, non si riesce a venirne a capo? Poca ricerca o eccessiva complessità delle patologie? Ci sono novità in arrivo?
Per quanto riguarda la sclerosi multipla, abbiamo assistito negli ultimi 15 anni a una progressione enorme non solo in termini di comprensione dei meccanismi etiopatologici della malattia, ma soprattutto nella gestione e nella cura dei pazienti. Come in tutte le malattie croniche autoimmuni è vero che non esistono ancora approcci risolutivi per una guarigione completa, ma è anche vero che sono stati fatti grandi progressi nella gestione terapeutica dei pazienti. Oggi abbiamo a disposizione oltre 20 farmaci per la cura della sclerosi multipla e molte altre molecole saranno approvate nel prossimo futuro. Questa ricchezza del nostro arsenale terapeutico, si traduce in una prognosi estremamente favorevole dei pazienti al punto che oggi sono diventate molto rare le forme di sclerosi multipla in cui la terapia è inefficace nel controllare la disabilità dei pazienti.
Nel caso della SLA, i progressi più importanti riguardano le forme di malattia geneticamente determinate, che rappresentano il 10% dei casi, e spesso si presentano come apparentemente sporadiche. Da Ottobre 2021 il Tofersen (che impedisce l’espressione della proteina SOD1 mutata) è in uso compassionevole per le SLA SOD1+ offrendo possibilità di stabilizzare il decorso di malattia. Si tratta di un risultato da confermare con l’osservazione nel tempo. È recente, invece, la notizia del mancato raggiungimento degli endpoints primari e secondari del trial di fase 1 riguardante l’uso dell’oligonucleotide antisenso specifico per l’espansione in C9orf72, anche frequente causa di SLA familiare.
Per quanto riguarda la malattia di Parkinson, infine, stiamo assistendo a progressi che viaggiano verso molteplici obiettivi. Da un lato, abbiamo un sempre crescente miglioramento della gestione farmacologica grazie all’utilizzo di farmaci dopaminergici sempre più stabili, in grado di garantire una maggiore efficacia. Dall’altro, l’affinamento di strategie terapeutiche non orali, come la stimolazione cerebrale profonda e le terapie infusionali, permette di sostituire, anche precocemente e con profitto, le terapie quando non più adeguatamente efficaci. Infine, stiamo sperimentando diversi farmaci potenzialmente in grado di modificare il decorso di malattia, come anticorpi monoclonali o inibitori enzimatici selettivi. La strada verso l’individuazione di terapie risolutive è ancora lunga ma ad oggi la qualità di vita dei pazienti con queste strategie terapeutiche è rivoluzionata.
Quanti pazienti fanno riferimento alla struttura da lei diretta nel Policlinico Vanvitelli?
La SLA resta una malattia rara, sebbene nel nostro centro siano monitorati circa 300 pazienti/anno, provenienti da tutta la Regione Campania e, in misura minore, da altre regioni. La Sclerosi multipla interessa invece circa 120.000 pazienti in Italia e il nostro Centro ha in carico circa 1000 persone affette dalla malattia. Per l’Alzheimer, la Neurologia della Vanvitelli si occupa principalmente della diagnosi e della terapia, che spesso viene condotta all’interno di trials clinici che prevedono l’utilizzo di terapie sperimentali di fase avanzata quali quelle, ultimamente molto citate, con gli anticorpi monoclonali anti amiloide. Il centro Parkinson e disordini del movimento è uno dei più grandi in Campania, visitiamo circa 450 pazienti/anno.
Nell’insorgenza di alcune patologie neurologiche, quanto incide il disturbo del sonno?
La deprivazione di sonno ed il danneggiamento del ritmo circadiano, sono stati identificati come fattori di rischio modificabili associati allo sviluppo di Malattia di Alzheimer, pertanto viene richiesta un’attenzione peculiare da parte della popolazione generale e dei clinici sia rispetto all’identificazione di tali disturbi che al loro precoce trattamento. Disturbi del sonno in fase REM sono specificatamente associati anche a maggior rischio di sviluppare malattia di Parkinson. Possono precedere l’esordio dei sintomi motori della malattia anche di 15 anni, rappresentano un fattore di rischio da attenzionare anche per eventuali terapie preventive.
Il suo è un osservatorio privilegiato, anche a livello nazionale, essendo past president della Società italiana di neurologia. Di fronte all’onda d’urto rappresentata dall’aumento delle malattie a carico del cervello, la politica sta dando risposte adeguate? Per affrontare al meglio questa situazione, cosa si sente di suggerire o di chiedere a chi ha la responsabilità del governo sanitario del Paese?
La Neurologia negli ultimi anni ha realizzato enormi progressi sia in campo diagnostico che terapeutico. Tutto questo ha prodotto un miglioramento dell’assistenza fornita ai pazienti neurologici, ma al tempo stesso ha aumentato molto la complessità del lavoro del neurologo. E non v’è dubbio che con l’aumentare delle conoscenze aumenterà ulteriormente la complessità del nostro lavoro.
Ritengo quindi indispensabile una riorganizzazione dell’intero sistema che veda una interazione più efficiente tra ospedale e territorio basata su una più accurata definizione dei livelli di competenza sia a livello ospedaliero, con la identificazioni di ospedali di I, II e III livello, sia a livello territoriale con l’istituzione delle case di Comunità e Ospedale di Comunità e con un maggiore e più efficace coinvolgimento del Medico di Medicina Generale e del Neurologo Territoriale.