La pandemia “aumenta” il dolore cronico
12 Novembre 2020“Non va trascurato l’impatto del Covid su coloro che soffrono di dolore cronico, sia perché nei pazienti che hanno contratto il virus lo stato infettivo aumenta la sintomatologia dolorosa”.
Oltre al Covid-19 c’è un’altra emergenza sanitaria che coinvolge più di 5 milioni di italiani affetti da patologie osteoarticolari, costretti a fare i conti con una forma di dolore cronico benigno, e che necessitano di essere rassicurati e monitorati nella prosecuzione delle cure. Monitorati perché il dolore cronico deve essere trattato tutti i giorni per evitare che peggiori in maniera irreversibile; rassicurati perché è dimostrato che almeno il 50% dei pazienti vive un peggioramento significativo della propria condizione dolorosa a causa di situazioni particolarmente stressanti dal punto di vista emotivo, come nel caso della pandemia che stiamo vivendo. A ciò si aggiunga il rischio che si verifichi quanto accaduto nei mesi scorsi, e cioè da un lato un calo degli accessi alle strutture sanitarie per timore del contagio, dall’altro una riduzione dell’offerta di assistenza, che genera nei pazienti un senso di incertezza e di abbandono per la difficoltà a restare in contatto con lo Specialista e il Centro di riferimento. Di questi temi si è discusso al webinar “L’impatto sociale del dolore ai tempi del Covid-19 e la ricerca di una visione integrata, personalizzata e sostenibile”, promosso da “Formiche”, con il contributo non condizionato di Neopharmed Gentili, azienda da sempre impegnata a rispondere alle esigenze delle persone affette da patologie osteoarticolari, con soluzioni che ne migliorino la qualità di vita. L’incontro ha messo a confronto decisori, pazienti ed esperti sul tema dell’assistenza ai malati reumatici in questa nuova fase dell’epidemia. “Oggi è urgente mettere in campo un nuovo sistema di assistenza ai più fragili, riconoscendo e correggendo ciò che nell’assistenza sanitaria non ha funzionato, afferma Lisa Noja, componente della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati e membro dell’Intergruppo Innovazione. Le prestazioni erogate da medici e specialisti attraverso i servizi di telemedicina, in questi drammatici mesi, stanno contribuendo a cercare di garantire in tanti casi assistenza e monitoraggio a pazienti affetti da malattie croniche. Ma è del tutto evidente che occorra affrontare il tema in maniera organica e strutturale”. “Le malattie reumatologiche coprono un ampio spettro di patologie, sia di origine infiammatoria, spesso come conseguenza di un’anomala risposta del sistema immunitario (l’artrite reumatoide, per esempio), sia di natura degenerativa come l’osteoartrosi, la più frequente tra le malattie reumatiche, che interessa oltre 2,5 milioni di italiani, soprattutto dopo i 50-60 anni, e che colpisce principalmente le articolazioni di ginocchio, anca e colonna vertebrale – spiega Alberto Migliore, Responsabile del Servizio di Reumatologia dell’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli di Roma. È una malattia molto insidiosa perché si manifesta in maniera graduale, ma nel tempo può portare a una severa limitazione dei movimenti con conseguenti impossibilità ad uscire di casa, isolamento sociale e depressione. Inoltre, studi confermano che la riduzione della mobilità causata dal dolore aumenta il rischio di mortalità precoce in pazienti affetti da malattie cardio-metaboliche”. “Il dolore cronico deve essere trattato tutti i giorni, non solo quando diventa insopportabile, per contrastare i processi biologici maladattativi causati dalla progressiva modifica delle strutture su cui viaggiano gli stimoli dolorosi che, nel tempo, diventano più predisposte a mantenere il dolore e più resistenti a rispondere alle terapie – dichiara Diego Fornasari, Professore Associato di Farmacologia all’Università di Milano. Per questo motivo, è fondamentale che i pazienti reumatici non siano penalizzati dalla situazione emergenziale in corso, ma continuino ad essere regolarmente seguiti nella gestione della loro malattia, secondo un approccio polimodale, personalizzato sulle specifiche esigenze del paziente, che si basa sull’impiego di diversi tipi di farmaci, terapie infiltrative, riabilitazione, e con il coinvolgimento di un team multidisciplinare composto da reumatologo, medico di medicina generale, fisiatra e altri professionisti.”. “Non va trascurato l’impatto del Covid su coloro che soffrono di dolore cronico, sia perché nei pazienti che hanno contratto il virus lo stato infettivo aumenta la sintomatologia dolorosa, sia per le implicazioni psicologiche dello stress da pandemia che, nella metà dei pazienti, causa una diminuzione della soglia del dolore con conseguente peggioramento della condizione dolorosa – afferma Stefano Coaccioli, Presidente dell’Associazione Italiana per lo Studio del Dolore (AISD). A queste problematiche di natura biochimica, si è aggiunta, nei mesi scorsi, una riduzione dell’offerta sanitaria ambulatoriale e ospedaliera. Molti pazienti si sono sentiti abbandonati e privati della possibilità di confrontarsi con lo specialista, con pesanti ricadute a livello psicologico, oltre che sulla gestione della malattia e l’aderenza alle cure. Serve l’impegno di tutti affinché ciò non si ripeta nei mesi a venire, promuovendo, ad esempio, l’attivazione di servizi di supporto psicologico (numero verde, WhatsApp, email) e attraverso un maggior ricorso alla telemedicina per consulti, monitoraggio e assistenza da remoto”. Se queste considerazioni valgono per i pazienti che hanno giù ricevuto una diagnosi, costretti a fare i conti con difficoltà di accesso ai servizi sanitari e disagi psicologici, non bisogna tralasciare l’impatto del Covid sulle visite diagnostiche mancate, che si ripercuote inevitabilmente sul decorso della malattia e sulla salute dei pazienti. “Il dolore non si ferma in tutte le sue forme, manifestazioni e/o cause: dolore cronico, dolore a causa di una patologia oncologica, una neuropatia diabetica, a seguito di una patologia reumatica, muscolo-scheletrica o neurologica, dolore post operatorio – dichiara Antonio Gaudioso, Segretario Generale di Cittadinanzattiva. Tra le azioni che si dovrebbero implementate per rispondere ai bisogni di questi pazienti: la ricetta dematerializzata, utilissima soprattutto in questa fase di emergenza, anche per la terapia del dolore. L’incremento dei servizi di telemedicina per controlli e consulti, e per la gestione dei pazienti al domicilio. Un servizio di sostegno psicologico telefonico e anche attraverso la possibilità di scambiarsi delle mail per dei consigli pratici e immediati”. “L’attenzione al dolore cronico necessita dell’impegno delle istituzioni sanitarie per mantenere le relazioni, il monitoraggio, l’ascolto e il dialogo per gestire le condizioni dei pazienti. L’attuale pandemia non dovrebbe impattare eccessivamente sui servizi per questi pazienti, stimolando una riorganizzazione per realizzare forme innovative di contatto, supporto, terapie (telemedicina, digital therapy). C’è una responsabilità etica nel valutare i bisogni fisici e psicologici anche di questi pazienti, nel distribuire le risorse economiche e umane disponibili secondo criteri di giustizia, solidarietà e priorità. Solo l’impegno comune, ben raccordato e strutturato, può garantire questo approccio, per una risposta efficace ai pazienti ed evitando conflitti e tensioni tra categorie di pazienti e tra realtà sanitarie” – afferma il Mons. Renzo Pegoraro, Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita.