La provocazione che propone il … per la maschera acerrana
12 Ottobre 2024Napoli: «tu sì ‘na cosa grande».
Le origini di Gaetano Pesce si rinvengono nella Penisola Sorrentina e, forse, grazie a questa appartenenza, l’artista scomparso nell’aprile 2024, ha inteso dedicare a Napoli una delle sue opere più simboliche: «Tu sì ‘na cosa grande», installata nella centralissima Piazza Municipio di Napoli. L’opera è molto più di una semplice scultura: ce la consegna come un testamento speciale, una specie di cryptex, il dispositivo usato da Dan Brown nel suo libro Il codice da Vinci, dove viene descritto come una sorta di urna in cui si cela un messaggio cifrato. Pesce è stato un artista poliedrico, famoso per la sua capacità di mescolare e modellare l’arte con il quotidiano, rifiutando il concetto di un’estetica perfetta e immutabile, privilegiando l’imperfezione e lo scarto, ridefinendo i confini tra l’arte dei soloni e l’arte “povera”, infatti, sostituisce la “Venere degli stracci”. Entrambe le opere sono espressione di un’arte “visionaria” e hanno inteso donare ai napoletani e al mondo intero delle creazioni cariche di pathos, dei più variegati sentimenti: calore, commozione, impeto, passione, stupore e provocazione. L’opera, di 12 metri in altezza, rappresenta la più celebre maschera della tradizione napoletana e, come simboleggiato dai due cuori ai suoi piedi, una dichiarazione d’amore all’identità napoletana. Nessuno più di Pulcinella incarna le mille contraddizioni dell’anima di Napoli, capace di assumere, celata dalla nera maschera, gli aspetti più reali della vita, del palcoscenico e Pesce rende tutto ciò in maniera stilizzata, astratta, potremmo azzardare, perfino “brutta” se non avessimo a mente il bozzetto dove sono evidenti l’abito bianco e i bottoni neri, ma, per l’artista, troppo scontato. Forse siamo abituati a una visione “classica” dell’arte, faccio un esempio: se dico «Scienza e carità» restate indifferenti ma se dico «Guernica» sono sicuro che pensate subito a Picasso. Scienza e carità è uno dei primi dipinti di Picasso, del periodo del “realismo”, nel quale il giovane genio esegue capolavori quali il Vecchio pescatore, il Ritratto di Filippo V e i vari ritratti della sua famiglia; siamo molti anni prima del “periodo blu”, del “periodo rosa”, del “cubismo”. Lo stesso Picasso dice: «a dodici anni dipingevo come Raffaello», ma per ritornare al significato del Pulcinella e di Guernica più tardi dirà: «però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino». Fedele alla sua ispirazione, il “Pulcinella” di Pesce deve essere ponte tra la tradizione di via san Gregorio Armeno e una sua possibile, doverosa reinterpretazione per rendersi attuale in una realtà non più “liquida” ma, addirittura “rizomica”. L’opera ha raggiunto il suo scopo di arte che unisce perché pur senza la fantasia, il sarcasmo, l’arguzia dei napoletani tutti hanno commentato la sua forma, una provocazione per far riflettere. La forma fallica della scultura merita di essere compresa nel suo significato più recondito. Non bisogna dimenticare che Gaetano Pesce nel 1962 intraprese la carriera di designer collaborando con l’azienda B&B, alla realizzazione delle poltrone della serie UP, di cui la UP5 riporta alla mente le forme alla “Botero” delle dee della fertilità: Ale, Allat, Chimalman, Astart, Cibele, Gea. Denunciò la condizione femminile in una società densa di maschilismo che relegava la donna ai margini della vita politica e sociale. Denuncia che si fece evidente, nell’opera «L’Italia in croce» e il “Pulcinella” è la sua definitiva proposta ad essere ottimisti e propositivi. La “nudità” nell’arte, infatti, riflette le norme sociali dell’estetica e della morale del tempo in cui è stata creata l’opera. Certo non è così, ma se Pesce avesse voluto burlarsi dei posteri lo ha fatto tenendo a mente il grande architetto e visir egiziano, Imhotep, sommo sacerdote di Eliopoli, dove era custodita la sacra Pietra Benben. L’idea di un obelisco sul quale c’era la Pietra Benben, è altamente simbolica del fallo gigante di Osiride che offre il suo “seme” alla dea del cielo. Azzardo una mia lettura seguendo il pensiero di Andrew Lear (docente americano di antichità classiche), pensando che Pesce aveva ben a mente il David di Michelangelo, un’imponente figura alta più di quattro metri, ma dotata di attributi piuttosto modesti, e le statue dei guerrieri, degli eroi, degli atleti greci che hanno il pene piccolo, non eretto, perché associato alla moderazione, una delle doti imprescindibili della virilità e quindi di uomini razionali e in grado di controllare la propria parte “animale”. Al contrario, un pene grosso simboleggiava l’incapacità di gestire gli impulsi e di agire con intelligenza e risolutezza. Oggi, invece, un pene grande è spesso considerato un simbolo di virilità e forza, un attributo di cui molte persone vanno fieri. Pesce, quindi, esorta nella Modernità, gli uomini ad essere saggi e razionali, come i grandi pensatori e gli intellettuali del passato. Pesce ha messo il punto al discorso iniziato con la UP5: il femminismo ha criticato l’uso del nudo come oggettivazione del corpo femminile, Pulcinella, come Marianne «La libertà che guida il popolo» (Eugene Delacroix), è la raggiunta parità…
*Scrittore, teologo